Per il preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'università La Sapienza di Roma i politici «hanno paura della televisione perché hanno un bassissimo livello di contenuti e capacità progettuale.
«Maquesto - aggiunge - non significa che la televisione non sia rilevante. Noi sappiamo da diverse ricerche consolidate che la televisione è decisiva su tre dimensioni: le persone con basso capitale culturale che nel nostro Paese sono sempre di più; i ceti senza una propria identità (la televisione coltiva il centro della società cioè quelli che, spostandosi a destra o sinistra, da un leader all'altro, possono essere decisivi); poi c'è l'aspetto del linguaggio. Tutti sembrano profondamente impregnati di parole comunicative. Basta vedere il caso di Sarah Scazzi dove, persino nel momento del dolore, la gente utilizza i termini della televisione. Pensate cosa succede per la politica. Quanto poi all'influenza direi che nessuna puntata è in grado di costruire un clima a favore o contro una parte politica. È una questione di lungo periodo».
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