Tesla, mille miliardi a Musk per la sfida della AI. Gli obiettivi colossali
Tesla ha appena approvato un pacchetto retributivo che, tra obiettivi industriali e azionari, può valere fino a 1.000 miliardi di dollari per Elon Musk: il più grande «premio» della storia del capitalismo. Scandalo? No. È la fotografia brutale di una cosa semplice: l’Occidente scommette sul suo ingegnere capo. Questo non è denaro contante consegnato a un riccone capriccioso per comprarsi yacht in più. È un contratto: Musk incasserà solo se trasformerà Tesla in una macchina totale dell’innovazione, capace di arrivare a una valutazione di 8.500 miliardi, produrre 20 milioni di auto l’anno, lanciare un milione di robotaxi autonomi e mettere in fabbrica legioni di robot umanoidi Optimus. Obiettivi colossali, votati da oltre il 75% degli azionisti in piena trasparenza, nonostante il fuoco di fila di fondi pensione, sindacati e moralisti da tastiera. Se fallisce, niente premio. Se ci riesce, vuol dire che avrà riscritto filiere industriali, lavoro, mobilità, gettando le basi di un nuovo ciclo tecnologico occidentale.
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Intorno a Musk gravita già oggi un ecosistema che vale quanto diversi bilanci statali. SpaceX, valutazione vicina ai 400 miliardi, domina il mercato dei lanci, trasporta satelliti, astronauti e carichi militari occidentali e con Starlink tiene accese le comunicazioni dall’Ucraina a Israele, dalle campagne africane alle navi in mare aperto. Tesla guida (tra crisi, correzioni e ripartenze) la rivoluzione dell’elettrico e dell’intelligenza artificiale di bordo. xAI entra nella corsa globale all’AI generativa. Neuralink sperimenta l’interfaccia cervello-computer. La Boring Company ridisegna il modo di scavare tunnel e muovere persone e merci. Tutto questo non sono giocattoli di un miliardario, ma infrastrutture strategiche di potere.
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C’è poi il punto geopolitico, che in Europa ci ostiniamo a ignorare. Musk, con tutti i suoi eccessi, dice una cosa chiarissima: o l’innovazione resta guidata dal mondo libero o la guideranno gli altri. Dalla Cina che unisce capitalismo di Stato e controllo sociale digitale, alle petromonarchie che comprano tecnologia a colpi di fondi sovrani fino ai nuovi colossi demografici come India, Indonesia, Nigeria: la battaglia è aperta, è tecnologica, è di valori. Chi controlla razzi, satelliti, reti, chip, auto autonome e robot controlla il secolo. L’Europa, che oggi si scandalizza per il «trilione» promesso a Musk, dovrebbe guardarsi allo specchio: quanti progetti di pari ambizione abbiamo sostenuto? Quanti imprenditori visionari abbiamo protetto invece che soffocarli tra burocrazia, sospetto ideologico e invidia sociale? Il voto dei soci Tesla ci dice che l’America è pronta a legare premi giganteschi a risultati giganteschi pur di tenersi il suo campione. Noi continuiamo a discutere di plafonare i sogni. Piaccia o no il personaggio, la scelta è questa: o giochiamo con chi prova a scrivere il futuro, assumendoci rischi, oppure lo leggeremo in piccolo, sullo schermo degli altri. Per l’Italia, potenza manifatturiera e paese chiave della frontiera mediterranea, il tema è ancora più concreto: senza allearsi con chi guida la rivoluzione spaziale, digitale e dell’AI, resteremo subfornitori di tecnologie altrui. Servono meno prediche sui «ricchi cattivi» e più capacità di attrarre capitali, cervelli, grandi rischi industriali. Il «premio» a Musk è un segnale: il mondo corre verso una nuova gerarchia del potere tecnologico. O saremo con chi la costruisce, o saremo semplici utenti a pagamento. Per finire: Musk mille volte meglio di Mamdani. Possiamo dirlo forte.
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