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Casa di Montecarlo, l'attesa infinita di Fini: “Gogna lunga 15 anni, è la giustizia italiana”

Augusto Parboni
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Elegante come sempre. Senza cappotto. Anche quando su Roma ieri mattina cadevano alcune gocce di pioggia. Con il sorriso e tra le dita un «Cigarillo». Alle dieci di mattina l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini attendeva l’inizio del processo, nel quale è imputato per riciclaggio, tra il cortile del palazzo di Giustizia della Capitale, circondato da avvocati e cittadini che lo salutavano, e l’aula della quarta sezione del Tribunale di Roma. Aula che si trova a due metri dall’ingresso del cortile, permettendo così all’ex presidente di fumare, e a dieci passi, proprio di fronte, all’aula Vittorio Occorsio, dove ieri mattina si stava svolgendo anche il processo per il delitto di Giulio Regeni davanti alla prima Corte d’assise di Roma. In mezzo alle due aule, pochi metri di distanza, giornalisti, cameramen, fotografi, avvocati e curiosi. E lui, l’ex terza carica dello Stato, Gianfranco Fini. Quando gli è stato fatto notare che davanti all’aula nella quale sarebbe dovuto entrare alle 10,30 (dibattimento poi iniziato alle 12,30, con due ore di ritardo rispetto al calendario) per ascoltare la requisitoria della procura, c'era il processo Regeni, l’ex leader di Alleanza Nazionale ha ricordato: «Muhammad Hosni Sayyid Ibrahim Mubarak? Mi ricordo quando l’ho incontrato, sembrava un faraone. Potrei raccontare tante cose...».

 

 

Fini, a quel punto, si è trasferito insieme al suo avvocato in cortile, sempre per fumare, e dopo pochi minuti, rientrando, ha ricordato quando gli fu conferita la Laurea honoris causa quando era Presidente della Camera dei deputati. Era ancora in attesa dell’inizio del processo, quando uno dei suoi difensori non ha esitato a commentare: «Lei Presidente ha aiutato gli italiani». Ed ecco spuntare sul volto di Gianfranco Fini un lungo sorriso, ha preso tra le dita il «Cigarillo», ci ha giocato tra le dita, lo ha portato alla bocca, anche se era spento, e ha continuato a ricordare i suoi viaggi all’estero, oltre a quelli in Egitto. E mentre parlava davanti all’aula della quarta sezione, al piano terra del palazzo «A» del Tribunale di Roma, proprio di fronte all’aula Occorsio, dove si svolgeva il dibattimento per il delitto Regeni, la coimputata Elisabetta Tulliani era invece in aula, dalla quale non è mai uscita, in attesa che la Corte aprisse il processo. Vestita con scarpe, pantaloni e giacca nera, ha aspettato il momento in cui potesse sedersi davanti alla Corte e rilasciare dichiarazioni spontanee. «Sono molto uniti il presidente Fini ed Elisabetta Tulliani - ha sottolineato uno dei difensori dell’ex presidente della Camera - hanno due figli e un ottimo rapporto».

 

 

In udienza Fini e Tulliani più volte si sono infatti avvicinati per parlare in attesa dell’inizio del dibattimento. «Sono molti i racconti che potrei ricordare riferiti alla mia carriera politica - ha detto Fini sempre con il Cigarillo tra le dita - ma adesso voglio dire solo una cosa.... Sono passati otto anni dal rinvio a giudizio. Questa è la giustizia italiana, che sicuramente, tra i vari problemi, deve affrontare anche quello della carenza di organico....». Dopo la richiesta di condanna a otto anni di reclusione, l’ex presidente della Camera dei deputati ha lasciato il palazzo di Giustizia più grande di Europa con il suo «Cigarillo» tra le dita.

 

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