Ma quale privacy

Filippo Facci, ma quale privacy: la prova che siamo spiati peggio che in Germania est

Gabriele Imperiale

“Abbiamo intercettazioni ambientali e telefoniche come non le aveva neanche la Germania dell’Est” incontenibile Filippo Facci su Il Giornale. L’editorialista lombardo dice la sua sul caso dossieraggio e sulla nuova e scottante inchiesta di Perugia. Lo fa in punta di fioretto. “Figuratevi se non ci associamo alla segretaria della Federazione della Stampa dopo l’inchiesta sui cronisti del quotidiano Domani: a pubblicare le notizie i giornalisti non commettono mai un reato... – commenta Facci – ci associamo, da colleghi, soprattutto perché sappiamo che non è vero”. 

“I giornalisti rischiano di commettere un reato anche se pubblicano segreti di Stato, o atti segretati – sottolinea lo scrittore – Non è che per procurarsi una notizia (pur vera) un cronista possa armarsi di bazooka e fare qualsiasi cosa”.  Il punto della questione per Facci però è altro: capire cosa rimanga del concetto di “segreto” e della sacralità del non essere “spiati” in uno Stato liberale. Per farlo “ci soccorre una memoria da anziani”, spiega lo scrittore che fa un tuffo nel passato.

 

 “Quando il mondo in teoria era peggiore, nel 1997, alcuni di noi descrissero nel dettaglio due incubi da futuro orwelliano: l'anagrafe tributaria e il redditometro. Ora sono realtà, ci siamo arrivati”. Si stava meglio quando si stava peggio: “si prendeva l’aereo senza doversi denudare ai controlli, in treno nessuno telefonava, nessuno ti intercettava, non eravamo tutti «tracciabili» come bistecche attraverso cellulari”. Potevi rinunciare a carte di credito e bancomat e “girare con mazzettoni di contanti come uno spacciatore” spiega ironicamente. E ricorda un vecchio articolo del collega Massimo Fini: “Io il mio denaro ho diritto di metterlo dove mi garba, di ficcarmelo anche nel c... se così mi piace – ricorda Facci – E noi sperammo che Fini non ne avesse troppo, di denaro”.

 

Il giornalista si spiega: “ai tempi c’erano già spionaggi e dossieraggi – scrive nel suo editoriale – ma paradossalmente non esisteva un concetto di “privacy” o addirittura una “Authority della privacy” in un’epoca, questa, in cui la riservatezza è diventata una chimera”.  Poi la bordata: “In Italia, per spesa e quantità, abbiamo intercettazioni ambientali e telefoniche come non le aveva neanche la Germania dell’Est”. Attacco che Facci argomenta ricordando la querelle del 2016 tra Fbi e Apple sullo “sblocco” dell'iPhone di un terrorista. In quell’occasione la società si era rifiutata di sbloccare il telefonino appellandosi alla privacy e alla salvaguardia dei dati personali. “Una società di cybersicurezza israeliana riuscì sbloccare il cellulare per conto dell'Fbi – ricorda – e significò che uno Stato può immettersi nelle tue cose al pari di hackers e criminali”. Infine, la chiosa del Facci-pensiero: “L'uomo moderno ha rinunciato a essere felice in cambio di un po' di sicurezza” disse un certo Sigmund Freud nel 1929. E non aveva neanche l'Iphone”.