giustizia impazzita

Sciopero magistrati contro la riforma Cartabia. Guido Crosetto tuona: "Simile a un golpe". Chi deve intervenire

Christian Campigli

La guerra dei trent'anni non è mai terminata. Il titolo del mastodontico e dettagliato saggio di Filippo Facci su Tangentopoli e lo scontro che tra la politica e la magistratura calza a pennello per descrivere l'ennesimo momento di tensione tra le due istituzioni. È stato sufficiente un tweet di Guido Crosetto per far divampare un autentico incendio. “Il potere giudiziario sciopera per contestare il fatto che il potere legislativo approvi una legge. È una cosa molto simile a un golpe e qualcuno dovrebbe intervenire”.

 

Parole che non lasciano molto all'immaginazione, quelle dell'esponente di Fratelli d'Italia e che fanno riferimento al voto (1.081 voti favorevoli, 169 contrari e 13 astenuti) col quale l'assemblea nazionale dell'Anm ha deliberato un giorno di sciopero contro la riforma dell'ordinamento giudiziario, voluta dal ministro Marta Cartabia, già approvata dalla Camera e ora all'esame del Senato. “Non scioperiamo per protestare, ma per essere ascoltati – si legge in una nota diffusa dai togati - Non scioperiamo contro le riforme, ma per far comprendere, dal nostro punto di vista, di quali riforme della magistratura il Paese ha veramente bisogno. Ci troviamo costretti a scioperare per questa idea della magistratura, che non è solo nostra, ma è quella contenuta nella nostra splendida Costituzione. Noi vogliamo la riforma, si tratta solo di correggere alcune strutture”.

Al di là del merito, il focus della polemica è orientato sul metodo. I magistrati sono comuni lavoratori e quindi hanno il sacrosanto diritto di protestare contro una norma che, secondo loro, peggiorerà le condizioni professionale della categoria o, essendo parte integrante dello Stato, dovrebbero avere un atteggiamento meno plateale? Un dubbio difficile da redimere, che si porta con sé, inutile negarlo, la profonda spaccatura tra i due poteri statuali. Una ferita, quella provocata da Mani Pulite, che ancora sanguina. Basti ricordare lo scontro di poche settimane fa, a colpi di carte bollate e parole infuocate, tra l'ex segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi e la Procura di Firenze, che indaga sulla vicenda dei finanziamenti alla fondazione Open. Ora questo nuovo capitolo di una guerra, quella dei trent'anni, ben lontana dal potersi considerare conclusa.