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Il pericolo islamista è qui, ma troppi (pure in toga) non lo vedono

Daniele Capezzone

Daniele Capezzone
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Cos’hanno in comune 24 anni di attentati, dalle Torri Gemelle a Charlie Hebdo, passando per il Bataclan, fino alla scia di sangue ancora caldo in Australia? Si è trattato sempre e solo di atti di terrore realizzati da islamici.
Tutti gli islamici sono dunque terroristi? Certo che no.
La gran parte dei terroristi degli ultimi anni sono islamici? Certo che sì. È islamofobo dirlo? No: è suicida bendarsi gli occhi.
C’è dunque una prima enorme questione: l’odio contro Israele e gli ebrei diffuso da troppe parti.
L’altro tema da illuminare è quello dei soggetti «segnalati» come radicalizzati: molto spesso in Europa è accaduto che i responsabili di attentati fossero già schedati. Occorre chiedersi se il nostro armamentario giuridico sia adeguato rispetto alla sfida del terrorismo fondamentalista. Nessuno vuole travolgere le garanzie costituzionali: ma è evidente che lasciar imperversare un numero notevole di soggetti con simili ombre di pericolosità è un azzardo che rischiamo di rimpiangere amaramente.

Né si può puntare sulla pura e semplice sorveglianza dei «segnalati». Il loro numero, in tutta Europa, è altissimo, ed è inimmaginabile che per ciascuno di essi siano quotidianamente mobilitati 6-8 agenti, ai fini di un monitoraggio perpetuo.
Resta dunque un’opzione che non piacerà a qualche anima bella: estendere i casi di espulsione.
Guardate che il 7 ottobre per qualcuno non è mai finito. Forse abbiamo dimenticato l’appello di qualche mese fa – tramite Al Jazeera – al jihad globale, che in una forma o nell’altra sarà raccolto in giro per l’Europa contro cristiani ed ebrei, gli uni e gli altri «infedeli».

Si tratta della stessa guerra combattuta in teatri diversi: c’è il teatro principale (in Medio Oriente), ma ci sono anche le nostre capitali. Anzi, quanto più gli estremisti perdono terreno lì, tanto più cercheranno di produrre sangue e caos qui. Prima lo capiremo (magistrati inclusi), meglio sarà.

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