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Pro memoria per chi fa finta di non capire

Daniele Capezzone
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Ma quindi come mai Il Tempo ha deciso di puntare i riflettori (e di tenerli bene accesi) sulla Stazione Termini come luogo-simbolo del degrado e della violenza in cui Roma è sprofondata?

La risposta è fin troppo semplice. Per carità: questa statistica non avrà valore scientifico, ma vi garantisco che, su dieci persone che mi fermano per strada, sette o otto mi parlano sempre e solo di sicurezza.

Con rispetto parlando, non mi chiedono l’opinione del senatore Dario Franceschini sulle sorti della segreteria di Elly Schlein, e non mi interpellano nemmeno su come debba essere modificata la legge elettorale. No: sistematicamente, la preoccupazione cade sul rischio di subire un furto, uno scippo, una rapina, oppure sul grande pericolo dell’immigrazione illegale. Peggio: negli ultimi tempi, mentre imperversano maranza e balordi di seconda generazione, il tasto più battuto non è neppure la possibilità di rimanere vittima di un reato, ma il rischio che, per rubarti cinquanta euro, qualcuno ti spacchi la testa o ti faccia seriamente male.

Ora, se uno ha subìto una disavventura del genere, o se teme di poterla subire (il che, psicologicamente, è quasi la stessa cosa), l’eventualità più irritante è quella di accendere la tv e trovare qualche maestrino che straparla di «percezione».

 

Come se fossimo tutti scemi, tutti suggestionati, tutti autoconvinti di pericoli inesistenti. Ecco, chiunque si esprima così si espone fatalmente al «vaffa» anche da parte delle persone più moderate.

Occhio, è una sfida che investe tutti. Riguarda la sinistra, che da anni ha sbagliato tutto lo sbagliabile, favorendo l’immigrazione incontrollata e negando l’evidenza. E che ora i compagni provino anche a dar lezioni sul tema è addirittura irritante. Ma riguarda anche la destra, a cui tutti riconoscono di dire le cose giuste e di provare a farle. E però, nonostante mille ostacoli, bisogna riuscirci.

 

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