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Esame di coscienza per chi grida allo scandalo dazi

Luca Silipo
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Francesco Cossiga, alias Corrado Guzzanti, si tratteneva appena, la mano a coprire la bocca: «Devo esterna’; devo esternaaa’!». Anch’io: devo esterna’. Proverò a farlo restando entro i limiti delle mie competenze: economista, modesto esperto di catene di approvvigionamento e «filiere». «Dazi?… per carità! Ma come?» – fluttua nell’aria – «non sa il "ciuffone" che il libero scambio è bene supremo?». Mancava solo questa alla lunga lista di scambi di ruolo: la sinistra che abbraccia il «liberalissimo» economista David Ricardo ed esalta il libero scambio come incantesimo che distribuisce oro, incenso e mirra a tutti… incondizionatamente. C’è poco rigore in tutto questo, e un fondo di superficialità che non ammette contraddittorio. All’inizio c’era il mercantilismo, quando un surplus commerciale era sinonimo di potere politico e militare. Poi, nel fine settecento, arrivò Ricardo e disse che no, il Portogallo deve produrre vino e il Regno Unito vestiti: e gli inglesi ad ubriacarsi di Porto, e i portoghesi tutti in giacche di tweed. Il messaggio da allora è che più libero scambio c’è, meglio è per tutti. L’ultima globalizzazione (circa 2000–2015) ci ha mostrato un altro angolo dell’idea di Ricardo. I paesi sviluppati comprano, quelli in via di sviluppo vendono: materie prime, beni semi-lavorati, prodotti a basso valore aggiunto, giocattoli, mutande, paperelle da vasca. In questa versione, il libero scambio assume un contorno quasi morale, di giustizia sociale. I deficit commerciali dei paesi sviluppati sono quasi dei «prestiti» ai paesi poveri per migliorare la loro condizione. La promessa è chiara: «fammi diventare ricco abbastanza per poi poter comprare i tuoi prodotti». Deficit e surplus sono temporanei, scambi di risorse strumentali al benessere comune. Tanto prima o poi si riducono naturalmente. Ed è proprio qui che il meccanismo si inceppa: qui non si riduce un bel niente. Il surplus della Cina non accenna a diminuire, il deficit americano nemmeno, e buona fortuna a cercare di vendere automobili americane ai tedeschi. La Cina, una volta arricchitasi, non ci pensa nemmeno a «restituire» il surplus agli americani… anzi, si chiude in un’autarchia silenziosa, orgogliosa dell’incredibile economia che ha saputo costruire in pochissimo tempo. Neanche Google, Facebook, YouTube, ChatGPT comprano i cinesi dagli americani: loro hanno i loro browser, le loro piattaforme, la loro intelligenza artificiale. Con il senno di poi, perché mai la Cina avrebbe dovuto restituire il favore? Con i loro rigidissimi controlli sui flussi di capitale, ciò che entra, difficilmente esce. Quindi il deficit americano è strutturale, permanente, ed è lo stesso Fondo Monetario Internazionale - il covo del liberalismo più sfrenato - a dire che così non va. Capire il protezionismo quindi - magari con più metodo e grazia, please Donald. E quegli europei che gridano allo scandalo per i dazi americani e poi perdono il sonno pensando a tutti i prodotti cinesi che invaderanno il nostro mercato si facessero un esame di coscienza. Sanno cos’è?

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