
Cerno: Sarco e noi gli ipocriti del suicidio

Siamo un popolo di gente ipocrita. In un mondo dove si muore ogni secondo, dove due guerre sanguinarie ammazzano innocenti, dove un giorno si e uno anche un padre uscito di senno spara a moglie e figli o un figlio ammazza i genitori, e ci abbiamo fatto perfino il callo benché fingiamo di indignarci tutte le volte, ci fermiamo attoniti davanti a Sarco: una capsula sigillata in cui chi decide di togliersi la vita si chiude e preme un pulsante che libera l’azoto. Una macchina del suicidio high tech, la versione da salotto della camera a gas dei penitenziari americani. Ieri una donna americana di 64 anni ci si è infilata dentro scatenando uno choc globale, che ha portato all’arresto di diverse persone perfino in quella Svizzera dove il fine vita è qualcosa di normale.
Perché è successo? Non certo perché, almeno io non lo penso, il suicidio sia qualcosa che sconfessa la sacralità della vita. Al di là della fede o delle idee di ognuno. E nemmeno per la morte in sé, visto che in Italia si tolgono la vita circa dieci persone al giorno, buttandosi sotto i treni, dai terrazzini, impiccandosi o sparandosi. Molto più tragico e pubblico di Sarco. Il problema è che non parliamo di morte. Mai. Non parliamo di chi si sente fuori dalla società. Di chi soffre da solo. Perché a noi non dà fastidio la morte. Ma il fatto che non possiamo fingere di non averla vista. E voltarci dall’altra parte. Come viene spontaneo fare.
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