Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Don Patriciello, Paragone spara a zero su De Luca: “Affondo vigliacco da delirio di onnipotenza”

Gianluigi Paragone
  • a
  • a
  • a

Attaccare Giorgia Meloni può essere conveniente per chi gioca nel campo dell’opposizione e cerca di confermarsi nei panni del leader forte; offenderla- come fece Vincenzo De Luca chiamando la premier «stronza» - non significa politicamente alcunché, anzi è persino controproducente. Prendere in giro don Maurizio Patriciello, un prete che ha fatto della lotta al Male, la Camorra, la propria missione di uomo e di sacerdote, è vile, arrogante e persino meschino. Direi soprattutto meschino e vigliacco perché si preferisce il dileggio, la presa per i fondelli, all’attacco politico. Qualcuno potrebbe domandarsi: come si fa ad attaccare politicamente un simbolo autentico della lotta alla camorra? Già, infatti De Luca fa peggio: non lo attacca, lo deride, lo sfotte. E l’appellativo di «prete conosciuto come Pippo Baudo dell’area Nord, con la frangetta» resterà anche se un giorno, per convenienza, De Luca dovesse chiedere scusa a don Maurizio: «Sta passando Pippo Baudo» lo canzonerebbero camorristi, scagnozzi, guappi e bulli, citando niente meno che il presidente della Regione Campania. Come a dire: chillo è ’n omme ‘e niente, lo ha detto un uomo delle istituzioni, a maggior ragione lo possiamo fare anche noi che viviamo oltre le istituzioni, oltre la legalità.

 

 

Con una battuta De Luca ha riportato le lancette dell’antimafia indietro di decenni, a quando ridicolizzare e bullizzare chi si esponeva contro il male significava isolarlo. Significa che hai un fronte in più da coprire, un fronte che però sta dentro le Istituzioni. È chiaro che è preoccupato don Patriciello: «Lo sono io, lo è la mia scorta, lo è il mio vescovo. Vivo sotto scorta da due anni perché la camorra ha messo una bomba davanti alla chiesa di Caivano. Che il mio agire non faccia piacere alla camorra lo capisco, ma che non piaccia a De Luca non lo capisco proprio», ha risposto. E allora torniamo al «perché» di questo attacco vigliacco.

 

 

Vincenzo De Luca ha risposto come si usa fare nelle subculture, nei linguaggi in codice: don Maurizio è un prete simbolo nella lotta alla Camorra e ha legittimato la Meloni come garanzia nella lotta alla camorra, quindi lo ha depotenziato come «sceriffo» in Campania. E allora deve subire il suo... sfregio padronale, lo sfottò. De Luca non può lasciar correre chi si permette di dire «Se mi si chiede: a Caivano è cambiato qualcosa da quando è venuta Meloni? Certo, è cambiato tutto. A memoria d’uomo non ricordo sia mai accaduto (...) Che qualcosa sia cambiato ora è sotto gli occhi di tutti». Il governo Meloni c’è. Quindi lo Stato c’è. Quello Stato che nell’ottica di De Luca deve stare un passo indietro rispetto alla sua presenza di «governatore». Qui siamo oltre l’Autonomia della Lega, qui siamo in un delirio di onnipotenza. Tanto che Re Vincenzo non si è fatto mancare la risposta alla Meloni che era intervenuta in difesa di don Maurizio dicendosi «spaventata» dall’attacco di De Luca: «Sono spaventato del suo spavento». Un altro bel sub-messaggio a chi, a Caivano e in quelle zone, cerca un varco per rompere quella presenza dello Stato mai vista prima.

 

Dai blog