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In piazza Colonna la nostra macchina del Tempo

Tommaso Cerno
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Se c’è una parola che ha perso il suo antico significato è la parola tempo. La società veloce, la cultura dell’istante le hanno messo fretta. Nel mondo dove cliccando su un telefonino si può scegliere dove andare e cosa fare, spetta un po’ anche a noi che portiamo scritta qui sopra quella parola, Il Tempo, la nostra testata che festeggia i suoi 80 anni di storia provare insieme ai nostri lettori a capire da lei quale significato abbia oggi.

 

 

 

È con questo spirito che comincio il mio viaggio nel Tempo. Un viaggio per cui devo dei ringraziamenti. Per primo all’editore, la famiglia Angelucci, che lo rende possibile, al direttore Davide Vecchi, che mi consegna un giornale vivo e frizzante, ai giornalisti e alle firme di questo storico quotidiano, che da Roma ha saputo parlare all’Italia nei momenti più difficili e più entusiasmanti della nostra storia nazionale. Ma più di tutto il mio grazie va alla nostra comunità di lettori che ci aiuteranno a capire come funziona questa macchina del tempo chiamata giornale, fatta di carta e tecnologia, capace di portarci dal passato al futuro se sapremo decifrare davvero le mutazioni del nostro presente. Perché alla vigilia delle elezioni europee più importanti della storia dell’Unione, nello scenario di due guerre talmente globali da non avere il coraggio di chiamarle mondiali, ci rendiamo conto che là fuori tante cose sono davvero cambiate. Nella società, nella politica, nell’economia ma soprattutto nella vita di ogni giorno di milioni di europei, di italiani e di romani, che alle prese con la complessità di una Capitale soffrono e subiscono più di altri le ingiustizie e le disuguaglianze di questa democrazia imperfetta che spetta a noi aggiustare. E quando le cose non vanno come dovrebbero si finisce per prendere tutti la stessa scorciatoia e chiudersi come fossimo una setta dentro verità assolute con cui cerchiamo di spiegare il mondo. Come in un Harry Potter senza bacchette fatate per aumentare i salari, cancellare il debito pubblico, abbattere l’inflazione e pagare la benzina meno che si può, ci troviamo ogni giorno in una rissa fatta di formule magiche che finiscono per lasciarci delusi. E questo vizio vale per la politica, dove lo scontro ormai sostituisce la dialettica, ma vale da troppo tempo anche per i giornali, che hanno scelto la strada del tifo. Una nobile arte, quella di dire da che parte si sta, a patto che gli occhi restino bene aperti sulla partita che davvero stiamo guardando, se vogliamo poter contribuire con il dibattito a fare meglio la prossima volta. Così se ascoltiamo bene lo scontro politico fra destra e sinistra, fra governo e opposizione, ci rendiamo conto di una stortura proprio del «Tempo».

Continuiamo a chiederci da dove veniamo, ragionando su un gps antico di coordinate fasciste e comuniste, quando la domanda vera sarebbe piuttosto: dove stiamo andando? Questa è la risposta che gli italiani si aspettano da Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani, così come dai loro oppositori Elly Schlein e Giuseppe Conte. Ed è attorno a questa questione che proveremo a dare un nostro contributo. Per me un giornale è un essere vivente. E come tutti noi si è dotato degli strumenti della tecnologia. Oggi al fianco della carta, con il suo fascino e la sua sacralità, ci sono gli smartphone, i siti, i podcast, i videoblog, il metaverso e l’intelligenza artificiale.

In piazza Colonna, nel cuore di Roma, c’è un’edicola che è stata per decenni simbolo della libera informazione. Oggi si è trasformata nella nostra «Macchina del Tempo» per viaggiare insieme a voi nel giornalismo che cambia. Quell’edicola del futuro oggi distribuisce la stampa quotidiana e periodica, parla con voi attraverso moderni monitor a led che vi mostrano i fatti e le opinioni del Tempo, ma è anche un moderno studio televisivo e radiofonico. Da lì interviste, dirette, talk e opinioni del Tempo vi accompagneranno giorno dopo giorno in questo viaggio che cominciamo insieme. Ma non lo faremo senza affondare le radici nei colli su cui sorge la nostra città, Roma. Eterna come la conosce il mondo perché legata a una parola che è la stessa che ci lega a lei: il Tempo. Con la promessa che mi sento di farvi che dal nostro giornale potrete ascoltare la sua voce, forte sopra il rumore di fondo che sovrasta il dibattito. E quando questa voce non suonerà chiara e nitida la colpa sarà mia.

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