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Quanti Degni popolano la Giustizia?

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Davide Vecchi
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A pensarci bene questo Marcello Degni ha pienamente ragione: ogni volta che l’opposizione potrebbe far «sbavare di rabbia» la maggioranza sbaglia colpo e spara a vuoto perché palesemente incapace di prendere la mira. Come sul parlamentare biellese Emanuele Pozzolo, il «pirla» (come lo definirebbe Vittorio Feltri) cui è partito un proiettile che ha lievemente ferito uno dei presenti alla festa di fine anno alla quale ha partecipato anche Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia. A quanto dichiarato da Pozzolo stesso pare lui avesse un’ottima mira seppur a sua insaputa, innata diciamo. E il Pd che ha fatto? Invocato le dimissioni di Delmastro. Ma perché? Che c’azzecca? Come pochi giorni prima quando un’inchiesta della Procura di Roma ha messo agli arresti domiciliari Tommaso Verdini e altri con l’accusa di aver tramato nel per facilitare l’aggiudicazione di alcuni appalti Anas (pare nessuno poi andato a buon fine). Cosa ha fatto l’opposizione? Chiesto al ministro Matteo Salvini di riferire in Parlamento. E giustamente il vicepremier ha fatto spallucce: che c’entra lui con l’indagine? Nulla. Salvo essere il compagno di Francesca, sorella di Tommaso.

 

 

Sembra aver ragione il padre Denis a dire - intercettato - che la finalità del fascicolo sia voler colpire Salvini. L’inchiesta sembra essere agli albori quindi si vedrà, la fiducia nella magistratura è totale anche perché null’altro si può fare, del resto le Procure concorrono e rappresentano il potere dello Stato chiamato a garantire l’equità della giustizia che è un diritto previsto dalla Costituzione (articolo 24) a tutti i cittadini «davanti a un tribunale indipendente e imparziale». Mettendo un attimo da parte Verdini, Salvini, Delmastro e il deputato «pirla» sui quali torneremo dopo - mi chiedo come mai il Pd non abbia preteso con la fermezza di sempre le dimissioni del giudice della Corte dei Conti, Marcello Degni, che ha usato i social come un adolescente alle prime pulsioni politiche alimentando odio con frasi tipo: «Bisogna organizzarsi e ricacciarli nelle fogne da cui sono usciti», ovviamente riferito a Fratelli d’Italia, Lega e a quella maggioranza che a lui proprio non piace e anzi vorrebbe farla «sbavare dalla rabbia», appunto. Il Pd dunque condivide questo suo sostenitore antidemocratico? E quanto da giudice Degni appare indipendente e imparziale?

 

 

Come ha ricordato il parlamentare leghista Claudio Borghi, le Sezioni Unite di Cassazione hanno precisato che «l’esercizio della funzione giurisdizionale impone al giudice il dovere non soltanto di essere imparziale ma anche di apparire tale», deve essere «esente da ogni parzialità» e «al dì sopra di ogni sospetto di parzialità». Mi pare evidente che nel caso di Degni qualcosa non torni. Eppure il Pd non ha trovato tempo per chiederne le dimissioni, confermandosi così – insieme a quei miracolati dei Cinque Stelle – democratici solo a parole, incapaci di rispettare l’alternanza e ancor meno il voto degli italiani. Si, certamente, è la solita storia: «La legge per i nemici si applica, per gli amici si interpreta», come disse Giovanni Giolitti ormai un secolo fa e che potrebbe serenamente sostituire la scritta che campeggia nelle aule di tribunale: «La legge è uguale per tutti». Ne sa qualcosa Salvini. Torniamo a lui. È stato per anni perseguitato per anni per il caso Metropol con l’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti e segreti dalla Russia di Putin, accusa che si è rivelata totalmente infondata. Lo stesso Salvini – sempre lui – indicato come responsabile del buco di 40 e rotti milioni nei conti della Lega che in realtà è stato creato da chi lo ha preceduto (Roberto Maroni, per dire, bruciò quasi otto milioni nella sola campagna elettorale per la Regione Lombardia) e che ora Salvini paga.

 

 

Ricordo quando prese le redini del Carroccio e fu costretto a chiudere la sede di via Bellerio efare le riunioni in una tenda nel parcheggio antistante perché in cassa non aveva neppure i soldi per le bollette. Il partito era ai minimi storici e i conti in profondo rosso. Era il 15 dicembre 2013. O potremo ricordare le inchieste sulla banca Credito Cooperativo Fiorentino che hanno portato prima in carcere e poi ai domiciliari Denis Verdini? Eforse anche lì c’era qualcuno (tra pm o giudici, chissà, ma ormai è andata) in stile Degni perché a leggere i fascicoli d’inchiesta (oltre un milione di pagine: l’ho lette tutte negli anni) e confrontandole con altre indagini svolte su altre banche come Mps (lette tutte, pure quelle) chiunque vedrebbe una sorta di accanimento nei confronti di un’area (quella di centrodestra, rappresentata da Verdini) e una carezza affettuosa nei confronti di un’altra (quella di centrosinistra, rappresentata dai vertici Ds poi diventati Pd). Basti ricordare che i magistrati di Siena distrussero oltre mille intercettazioni invece di usarle mentre per il Ccf presero pure gli estratti conti di Silvio Berlusconi e le visure delle abitazioni su cui venivano chiesti i mutui. Le differenze? I risparmiatori con depositi al Ccf non persero mezzo euro ma Verdini è ai domiciliari. Mps ha perso tutto ed è stata salvata con i soldi degli italiani eppure di responsabili neppure l’ombra: tutti assolti. Forse ha ragione Degni, a far «sbavare di rabbia» i nemici son più bravi i giudici dei politici.

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