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Manovra, la corsa di fine anno è il mistero poco gaudioso della politica

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Cicisbeo
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La Finanziaria, altresì detta manovra di fine anno, è un rito che va avanti dal 1978, in piena Prima Repubblica, e i giornali l’hanno spesso sbrigativamente definita «stangata», con l’immancabile accessorio dell’«assalto alla diligenza» e della famigerata «legge mancia» per distribuire prebende, rabbonire i parlamentari e fargli fare bella figura sui territori di provenienza. Così è successo spesso che una legge nata per frenare la spesa pubblica si trasformasse nello strumento esattamente opposto, finanziando sagre paesane, bande musicali e via dicendo anche se negli ultimi trent’anni, in verità, non sono certo mancate le manovre «lacrime e sangue», basti ricordare quella di Amato del ’92 – che mise le mani nei conti correnti degli italiani - o quella di Monti, scritta sotto dettatura della Bce. Nel 2009 si passò dalla Finanziaria alla Legge di stabilità e poi, nel 2016, è stato tutto unificato nella Legge di bilancio, ma la sostanza non è di fatto cambiata: la manovra economica va approvata obbligatoriamente entro la mezzanotte del 31 dicembre di ogni anno, perché serve a dare attuazione all’articolo 81 della Costituzione: è, insomma, il pieno di benzina nella macchina dello Stato, una legge omnibus che contiene tasse, spese, finanziamenti, tagli, agevolazioni, obblighi, diritti, divieti e proroghe, misure benefiche e schifezze abiette, il tutto miscelato nell’immancabile maxiemendamento presentato dal governo su cui viene apposta la questione di fiducia, tra le urla e gli strepiti delle minoranze che quando diventano maggioranza, però, ricorrono agli stessi metodi salendo su quello che Amato chiamò «l’ultimo treno per Yuma».

 

 

Emblematico, a questo proposito, l’atteggiamento ipocrita del Pd: quando era all’opposizione del governo gialloverde fece ricorso alla Consulta contestando il fatto che le minoranze non avevano neanche potuto leggere le modifiche apportate alla manovra. Tutti i torti non li aveva: il primo voto in aula avvenne infatti solo il 5 dicembre a causa del lungo scontro con l’Ue, con la pantomima del rapporto deficit-pil al 2,04 per cento e la capitolazione di Conte. Ma l’anno successivo, con un esponente del Pd al ministero dell’Economia, la legge di bilancio arrivò in aula al Senato per la prima lettura addirittura il 12 dicembre, dunque una settimana dopo, senza che qualcuno si premurasse si scomodare la Corte costituzionale. Ma perché la politica si riduce sempre all’ultimo momento per approvare la legge di bilancio? È una sorta di mistero assai poco gaudioso che finisce sempre, però, nel miracolo di San Silvestro, con il via libera in extremis che scongiura lo spettro dell’esercizio provvisorio, anche se a volte ci si è andati davvero molto vicini. Nel 2018, ad esempio, col primo governo Conte in carica, nella notte tra il 29 e il 30 dicembre si rischiò davvero grosso, con una rissa sfiorata in aula e una conferenza dei capigruppo convocata d’urgenza per scongiurare il peggio. Ma ci sono anche altri esempi di manovre economiche appese a un filo fino all’ultimo: perfino il governo Monti, nato per approvare il «Salva Italia» e sorretto da una larghissima maggioranza, dovette penare per la bagarre parlamentare scatenata dalla Lega.

 

 

Negli ultimi anni il trend del via libera all'ultimo respiro, in piene vacanze di Natale, è sempre stata una costante. Nel 2019 lo «stenografico» di Montecitorio riporta l'approvazione alle 4.44 del 24 dicembre, a un passo dal Natale. L'anno dopo per avere il voto finale bisognò aspettare il sì del Senato il 30 dicembre, in piena zona Cesarini. E le cose non andarono meglio neppure con Draghi a Palazzo Chigi, nonostante la maggioranza extra large: la sua legge di Bilancio fu infatti approvata alla Camera il 30 dicembre 2021. L'anno scorso, poi, la prima manovra del governo Meloni, che almeno aveva l’attenuante di essersi appena insediato, ebbe il via libera definitivo il 29 dicembre al Senato con il passaggio precedente - l'approvazione della Camera - arrivato il 24, un record assoluto in quanto a tempistica. Quest’anno, infine, il disegno di legge di bilancio 2024 è stato presentato dal governo al Parlamento il 6 novembre, con la raccomandazione alla maggioranza di non presentare nemmeno un emendamento. Nonostante questo il primo sì, al Senato, è arrivato solo il 22 dicembre, e quello della Camera è previsto per il 28-29. Proprio in extremis, insomma, come da recente tradizione. Il motivo? Mistero gaudioso, appunto. Anche se resta il sospetto fondato che anche le leggi di Bilancio più virtuose diventino col passare dei giorni un treno a cui vengono aggiunti troppi vagoni in corsa. È il Parlamento, bellezza.

 

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