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Zelensky meglio di Orban. Minzolini: perché i no dell'Ungheria non aiutano

Ma Europa e Usa spieghino a Volodymyr che non può ambire alla riconquista del Donbass

Augusto Minzolini
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È quasi un anno che sostengo la tesi che l’Europa e gli Stati Uniti dovrebbero spiegare a Zelensky che il conflitto con la Russia è destinato allo stallo, che forse sarebbe il caso, con un pizzico di realismo, di prenderne atto e di garantire all’Ucraina un futuro di libertà e di democrazia più che ambire ancora alla riconquista del Donbass, visto che gli umori delle opinioni pubbliche occidentali sono mutevoli e in anni elettorali condizionano non poco i governanti. Detto ciò, però, è evidente che gli aiuti a Kiev vanno assicurati più che mai perché, a differenza di quello che farneticano i pacifisti un tanto al chilo di casa nostra, si arriva ad una tregua o ad una pace solo se si è armati. Altrimenti si scambia la pace per una capitolazione. Appunto, una politica pragmatica, poco incline alla retorica, fornirebbe a Zelensky tutti gli aiuti necessari, chiedendogli in cambio di ragionare sul possibile sbocco di un conflitto durato fin troppo. 

 

L’unica cosa che non si può pensare è che il Congresso americano o i paesi dell’Unione Europea se ne lavino le mani. Sarebbe un crimine verso un paese che si è battuto per tutti, ma soprattutto il disimpegno unilaterale determinerebbe, dopo il biasimevole epilogo afghano, una sconfitta da cui l’Occidente non si riprenderebbe più. Fstesso discorso va fatto sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, su cui a Bruxelles ieri si è dato il via libera ai negoziati per l’adesione o sulla sua adesione all’Alleanza Atlantica, su cui a Washington si cincischia. È inutile prendere in giro Kiev: il futuro di quel paese, la sua indipendenza, potrà essere assicurata solo dal suo inserimento in organizzazioni internazionali che ne salvaguardino la sopravvivenza, appunto, offrendogli un ombrello protettivo sia sul piano economico (la UE) che su quello militare (la Nato).

Bisogna evitare, soprattutto, che l’Ucraina si ritrovi isolata come la pecora in balia del lupo, cioè si ripeta la condizione che spinse Putin ad osare l’invasione, perché - nessuno si faccia illusioni - sicuramente la guerra (gli ultimi dati regitrano più di 320mila morti tra le fila dell’esercito russo) lascerà uno strascico di odii e di rancori tra i due paesi. Per alcuni versi l’ingresso nella Ue e nella Nato sono più importanti per Kiev delle forniture militari, visto che il primo obiettivo garantirebbe automaticamente il secondo.

 

Ecco perché i «ni» che caratterizzano l’atteggiamento di molti Stati sull’argomento somigliano tanto alla danza dell’ ipocrisia. Né tantomeno si possono accettare i «no» di Orban sull’adesione dell’Ucraina alla Ue (ieri al Consiglio europeo è uscito per protesta dalla sala) perché non si può avere dentro casa una quinta colonna dello Zar. È un altro esempio eclatante che dovrebbe spingere la Ue ad adottare al più presto il metodo del voto a maggioranza. Anche perché si assiste ad un paradosso: uno Stato alleato dell’Europa, che sostiene una guerra contro un nemico dell’Europa, rischia di essere tenuto fuori dalla Ue da un altro Stato che fa intelligenza con quel nemico. Siamo alle comiche dei meccanismi europei.

E qui non c’entra un problema di «sovranismo», né di «interessi nazionali», espressione usata da Orban e che riecheggia nei discorsi di Putin: qui c’è innanzitutto un problema di razionalità. Se Macron, Scholz e la Meloni subiranno i «no» di Orban, la solidarietà all’Ucraina si trasformerà, nei fatti, in una fiera dell’ambiguità. E visto che si parla tanto di allargamento della Ue verso i Balcani, forse sarebbe necessario ragionare su uno strumento di cui un’Europa più grande potrebbe avere bisogno: sarà una boutade ma oltre all’istituto dell’«adesione» ci dovrebbe essere anche quello dell’«espulsione». Un’Europa già fragile di suo non può tenersi in casa un Paese che non fa gli interessi europei. Anche perché visto che abbiamo rinunciato all’Inghilterra non credo che sia un dramma fare a meno dell’Ungheria. Certo non bisogna arrivare a tanto, ma sarebbe un modo per convincere Orban a non costringerci a scegliere tra lui e Zelensky. 

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