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Il consiglio all'Ucraina e alla Nato: l'Orso russo va affrontato, fuggire significa essere sbranati

Gabriele Albertini
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«Non rischieremo prematuramente e senza necessità una guerra nucleare mondiale, dopo di che, i frutti della vittoria sarebbero: cenere sparsa sui nostri cadaveri...ma nemmeno indietreggeremo di fronte ad un tale rischio» (Presidente Kennedy, appello agli Americani 22 ottobre del '62). Forse, il momento della storia recente, in cui l'umanità intera fu più vicina alla sua autoestinzione. A quanti, oggi, evocano lo slogan dei «pacifisti ad oltranza» di quegli anni «meglio rossi che morti», andrebbe ricordato un motto: «Le baionette affondano nel fango ma si fermano davanti all'acciaio» (Vladimir Il'ic, Ul'Janov detto Lenin). Putin, con la guerra d'invasione, che continua a chiamare, con grossolana ipocrisia «operazione militare speciale», ha violato tutte le norme di diritto internazionale ed i trattati cui, l'Urss, prima e la Federazione Russa poi, ha aderito o sottoscritto. C'è tutto ciò che serve per «bollare» come «Stato fuorilegge», l'invasore. Putin e l'ex «Armata rossa» possono anche essere accusati di crimini di guerra, su cui pure esistono elementi di prova, in corso d'acquisizione, più che significativi. Saremmo davanti ad un tipico caso in cui l'Onu avrebbe pieno titolo per intervenire, militarmente, per ricostituire sovranità e legalità violate. Lo impedisce il diritto di veto della Federazione Russa, al Consiglio di Sicurezza, quale potenza vincitrice della seconda guerra mondiale. «Quis custodiet custodes?» Che paradosso!

 

 

141 Paesi, su 193 aderenti, hanno condannato l'invasione e 30 Stati stanno sostenendo, con l'invio di aiuti umanitari ed anche armi, l'Ucraina, Nazione invasa, proprio richiamandosi all'art. 51 della Statuto delle Nazioni Unite, che ribadisce il «diritto naturale di autotutela individuale e collettiva» per resistere alle aggressioni e difendere la propria integrità territoriale. Non v'è dubbio che ciò che stanno facendo sia «giusto». È anche «opportuno», agli effetti di un eventuale negoziato, che porti al cessate il fuoco? Gli ultimi 120 anni di storia della Russia, zarista o sovietica, ci consentono d'abbozzare una risposta. Solo ed esclusivamente sconfitte militari hanno intaccato la ferma volontà di potenza dei vari Governi inducendoli a più miti consigli. Solo dopo la sconfitta nella guerra russo-giapponese, nel 1905, con la perdita della piazzaforte di Port Arthur ed il disastro navale di Tsushima, sfociati poi nell'umiliante pace di Portsmouth, lo Zar Nicola II, con il «Manifesto di ottobre», si piegò alle richieste del suo popolo e trasformò, obtorto collo, la «Grande Madre Russia» in una monarchia costituzionale. In corso la I guerra mondiale, fu ancora la disastrosa sconfitta di Tannemberg, contro i Prussiani e la successiva débâcle della battaglia dei Laghi Masuri, che indussero lo Zar ad abdicare, nel marzo '17 e che prepararono l'avvento della rivoluzione bolscevica, pochi mesi dopo.

 

 

Ed ancora, il crollo del muro di Berlino, nel novembre dell'89, con l'implosione dell'Unione Sovietica e l'avvio di un regime, almeno formalmente democratico, fu determinato dalla sconfitta della III guerra mondiale «fredda», grazie alle «Guerre stellari» (Ronald Reagan), Solidarnosc (Walesa e San Giovanni Paolo II) ed i missili, con testate nucleari, a Comiso ed altrove. Solo una sonora batosta militare può indurre Putin a desistere dal suo progetto di restaurazione dell'Impero russo, zarista o sovietico. Tutti gli studiosi del comportamento animale consigliano di non darsi alla fuga davanti ad un orso che attacca ma di restare fermi, coraggiosamente fermi, cercando di spaventarlo, con grida o gesti, piuttosto che fuggire... La recente storia russa consiglia che arrendersi significa essere sbranati, difendersi lascia aperta una possibilità di salvezza.

 

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