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Real estate a Roma, la visione di Christian Esposito: "Vi spiego cosa significa fare l'agente immobiliare"

Luca Rossignoli
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"A 19 anni non avevo certezze. Avevo fame". A parlare è Christian Esposito, agente immobiliare. Salernitano, trapiantato a Roma. Dopo la Maturità ha deciso di iniziare a lavorare: gavetta su gavetta, appuntamenti in giro per la Capitale. Abito doppiopetto, giacca e cravatta. E sui social, dove va fortissimo, i Reel per raccontare quello che fa. Oggi Esposito è il direttore commerciale della Berkshire Hathaway tra le più grandi società immobiliare di Roma che si occupa di luxury real estate

Sei entrato subito nel lavoro. Perché?
«Perché non potevo permettermi di aspettare. A 19 anni ho capito una cosa: nessuno sarebbe arrivato a salvarmi. L’immobiliare non mi ha promesso niente, ed è stato proprio questo a convincermi. Era un mondo duro, diretto, senza sconti. Esattamente quello che mi serviva per crescere.»

Cosa ricordi di quei primi mesi a Salerno?
«Ricordo le stanze, gli uffici, le porte chiuse. Ricordo la sensazione di sentirmi sempre “indietro”. Ma ricordo anche la voglia di non mollare. Tornavo a casa stanco, spesso deluso, però il giorno dopo ero di nuovo lì. Per me quello era già vincere.»

A 21 anni lasci Salerno. Roma è una scelta o una necessità?
«È una necessità. Sentivo che stavo stretto nella comfort zone. Trasferirmi a Roma significava ricominciare sapendo di non avere appoggi. Nessuno ti aspetta in una città così. Devi guadagnarti tutto: ascolto, rispetto, spazio. È stato spaventoso, ma anche liberatorio.»

C’è stato un momento in cui ti sei sentito veramente solo?
«Sì. E secondo me è un passaggio obbligato. Ci sono giorni in cui non arriva nessuna chiamata, nessuna conferma, nessun risultato. Ti chiedi se stai perdendo tempo, se hai sbagliato strada. Quelle domande ti mangiano dentro. Ma se resisti, ti cambiano.»

Cosa ti ha impedito di mollare?
«La disciplina. Anche quando non credevo più alle motivazioni, credevo al metodo. Alzarmi, arrivare per primo, studiare il mercato, fare le cose con rispetto anche quando non tornava niente indietro. Ho imparato a restare in piedi mentre tutto traballava.»

Quando hai sentito che qualcosa stava cambiando?
«Quando le persone hanno iniziato ad affidarsi a me davvero. Non perché ero giovane, ma nonostante fossi giovane. È lì che ho capito che stavo costruendo qualcosa di solido. Da lì sono arrivati ruoli manageriali e l’ingresso in grandi realtà internazionali.»

Oggi lavori in Berkshire Hathaway HomeServices. Cosa rappresenta per te?
«È una sorta di silenziosa rivincita. Non rumore, non esibizione. Solo la conferma che il percorso aveva un senso. Per me conta sapere di essere arrivato lì senza saltare passaggi.»

Che rapporto hai oggi con il fallimento e la paura?
«Li rispetto. Non li combatto più. So che fanno parte del percorso. La paura ti mantiene lucido, il fallimento ti rende vero.»

Se potessi parlare a un ragazzo di 19 anni che vuole iniziare oggi?
«Gli direi: non cercare di sembrare subito sicuro. Accetta di sentirti perso all’inizio. Se resisti lì, resisti ovunque.»

E al te stesso di allora?
«Gli direi di andare avanti anche quando sembra inutile. Perché ogni giorno che resisti stai già vincendo qualcosa.»

Oggi, cos’è per te il real estate?
«È un mestiere che ti prende giovane e ti fa crescere in fretta. Se sei disposto a pagare il prezzo, ti restituisce identità.»

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