
Il Tempo-L'Unione Sarda, Paolini: "Un'isola che tiene alla sua identità. In prima linea per le battaglie sociali"

«Due realtà, geneticamente differenti, si incontrano. Due fidanzati naturali: un giornale che ha un occhio nazionale e un giornale che ha un occhio orgogliosamente regionale»: così, rilanciando il valore della collaborazione, il condirettore e direttore editoriale de L’Unione Sarda Lorenzo Paolini ha accolto la notizia del gemellaggio, per un giorno, con il nostro giornale.
Crede che il lettore sarà incuriosito?
«Se fossi un lettore, lo sarei. Quando spendi 1,50 euro per comprare due giornali, è un atto meraviglioso. Lo fai con la coscienza di poter avere due sguardi sul mondo: su casa tua e sull’Italia. Quando ci si incontra, vincono tutti».
Quando e come nasce L’Unione Sarda?
«Il nostro quotidiano ha una storia lunga e impegnativa: è nato nel 1889 per iniziativa di una borghesia imprenditoriale. È un quotidiano identitario. Questa è un’isola che tiene molto al vessillo d’identità e quindi fa battaglie su temi vincolanti per la Sardegna».
Un esempio?
«Stiamo facendo da anni una campagna contro la speculazione energetica, cioè contro questa forma di bizzarra transizione ecologica. In discussione mettiamo le modalità: se in un’isola, che ha 1 milione e mezzo di persone, vuoi realizzare l’energia elettrica che serve per 55 milioni di persone, c’è un problema. È come se fossimo una piattaforma energetica».
E questo tema caldo ha avvicinato i lettori? Ha reso il dibattito effervescente?
«Quando la battaglia inizia, è difficile comprenderne la natura. Ci sono dei passaggi che possono essere traversate nel deserto, ma, se rappresenti lo spirito del tempo nella terra che abiti, il risultato arriva. Aiuti a creare una coscienza sociale».
Come è cambiato il modo di narrare le cronache dell’Italia e, in particolar modo, della Sardegna?
«È cambiato tutto. Comunicano tutti perché ci sono molte più notizie e sono più accessibili. Una cosa, però, non è mutata. Quando si accende un faro, si sente che nell’aria c’è un odore, magari ancora senza nome, saperlo tirare fuori e dargli dignità di tema funziona sempre. Se hai storia alle spalle, sai distinguere le cose e capire quali sono gli argomenti che la gente ha nel palato».
Il vostro è stato il secondo quotidiano del mondo a dotarsi di un sito internet.
«Sì, siamo stati i primi ad andare in rete dopo il Washington Post. Quest’esplosione tecnologica ha avuto un riconoscimento mondiale. È successo nel 1994, trenta anni fa. Si era capito cosa c’era nell’aria».
Oggi quanto si investe sul web e sui social?
«Molto. Noi, quando ancora si usava poco, abbiamo coinvolto social media manager. Abbiamo creato una sezione che si chiama “I sardi nel mondo”, una casetta virtuale in cui tutti gli emigrati potessero ritrovarsi. Si vuole sempre sapere che cosa succede a casa propria, si ha sempre un pezzo di cuore altrove. Tutto quello che facciamo ha un duplice profilo. Non tutti nascono multimediali, ma oggi collaboriamo con la televisione Videolina e con la radio Radiolina. Proviamo a declinare la notizia secondo le regole di ciascun mezzo».
Perché vi siete trasferiti in piazza L’Unione Sarda?
«Prima eravamo tutti in posti diversi, anche molto lontani. La decisione è stata presa per avere un’unica sede. Possiamo affacciarci su mondi diversi facendo pochi passi. Siamo in un posto bellissimo. Lo dico con orgoglio: da quale altra redazione, la sera, si vedono passare da uno stagno all’altro stormi di fenicotteri rosa?».
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