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"Screening ai bisognosi per la prevenzione delle malattie infettive”. L'infettivologo Andreoni (ospedale di Tor Vergata) spiega i progetti per aiutare poveri ed emarginati

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Screening ai più bisognosi per la prevenzione delle malattie infettive e un nuovo centro vaccinale all’interno dell’Ospedale. Queste le iniziative intraprese dall’Università di Roma Tor Vergata per ribadire la propria adesione allo spirito benefico della Giornata mondiale dei poveri giunta lo scorso dicembre alla sua settima edizione. Dei progetti ne parla Massimo Andreoni, professore emerito di malattie infettive dell’Università di Roma Tor Vergata.

Quali sono le iniziative che avete intrapreso nell’ambito della Giornata mondiale dei poveri?
«Offriamo una consulenza sulle malattie infettive a persone indigenti ed emarginate socialmente che hanno difficoltà a rivolgersi agli ospedali e che molto spesso non hanno una tessera sanitaria con sé. Oltre a questo, mettiamo a disposizione dei percorsi di screening per Hiv, epatiti e tubercolosi nei Serd, soprattutto a Villa Maraini, e nelle carceri, offrendo un legame diretto con la struttura ospedaliera. In sostanza costruiamo percorsi diagnostico-terapeutici in cui un paziente, una volta che gli viene riconosciuta la positività alla malattia, può prendere un appuntamento direttamente al centro di prevenzione delle dipendenze per potersi curare senza passare per il Cup».

Quali risultati avete raggiunto per promuovere iniziative di screening e di sensibilizzazione nel campo delle malattie infettive?
«Abbiamo fatto diverse decine di diagnosi di infezione da Hiv, un centinaio di diagnosi di epatite B, C e Delta e altrettante di tubercolosi. Tutte malattie gravi e subdole che, se non trattate e ancora prima diagnosticate, sono pericolose per la persona e per la comunità perché sono facilmente trasmissibili. La tempistica di intervento è fondamentale perché la patologia potrebbe progredire fino a diventare irreversibile».

Quali sono state le principali difficoltà incontrate?
«Ci sono stati due tipi di difficoltà. Il primo è di natura burocratica, perché la prescrizione di alcuni farmaci è legata all’uso della tessera sanitaria che purtroppo non tutti hanno. Oltre a questo, ci sono difficoltà culturali. Abbiamo trattato persone che provengono da culture molto diverse dalla nostra, soprattutto per i timori che spesso emergono nei confronti della nostra medicina».

Quali sono gli obiettivi che vi proponete di soddisfare nel futuro a beneficio delle popolazioni emarginate?
«Innanzitutto, dobbiamo proseguire questa attività perché riguarda delle "unmet medical needs" (esigenze mediche non soddisfatte, ndr) del nostro sistema sanitario che non ha raggiunto alcune persone in termini assistenziali. Nella sanità italiana è il paziente che va dal medico, mentre nel nostro caso siamo noi che andiamo incontro al paziente. Un altro aspetto a cui ci stiamo dedicando è quello della prevenzione e della vaccinazione perché tutto quello che abbiamo detto è finalizzato alla cura, mentre quello che dobbiamo fare sempre è la prevenzione della malattia. Abbiamo aperto all’interno del nostro Policlinico un centro vaccinale delle malattie infettive e di questo siamo fieri, soprattutto perché spesso gli ospedali - dal punto di vista organizzativo - fanno fatica a mettere a disposizione percorsi diagnostico-terapeutici personalizzati per le patologie infettive. Questa è stata un’iniziativa all’avanguardia voluta dal direttore generale della nostra struttura perché i centri vaccinali dentro gli ospedali sono una rarità in Italia».

Qual è il valore della sinergia tra l’industria privata e le strutture pubbliche per promuovere la prevenzione e la gestione delle malattie infettive?
«Molte di queste iniziative sono state svolte nel contesto della Giornata dei poveri in Vaticano supportata da Gilead, che ha contribuito finanziariamente al progetto per i test di screening, per esempio. La sinergia pubblico privato credo sia fondamentale quando si vogliono realizzare attività di questo tipo per cui i finanziamenti pubblici molto spesso non bastano».

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