gioielli rubati

Louvre, “sicurezza colabrodo da un secolo”. Lo storico stronca i francesi dopo il maxi-furto

Tommaso Manni

"La sicurezza del Louvre? Un colabrodo ieri come oggi". A parlare è Silvano Vinceti, storico e ricercatore autore di numerosi studi su Leonardo da Vinci ed anche sul clamoroso furto della Gioconda rubata nel museo parigino nel 1911. Dopo il colpo degno di uno spettacolare film d'azione, che ha fatto sparire preziosissimi gioielli della Corona di Francia, Vinceti torna a denunciare "una cronica carenza nei sistemi di prevenzione e sicurezza del Louvre", che a suo dire affonda le radici in una storia lunga più di un secolo. "Sono passati oltre cento anni dal furto della Gioconda, eppure nulla sembra essere cambiato - dichiara Vinceti all'Adnkronos -. Allora il quadro fu sottratto con una facilità disarmante, oggi tocca a gioielli di valore inestimabile. È evidente che i responsabili della sicurezza non hanno tratto insegnamento dal passato". 

 

  

 

"Non basta installare qualche telecamera e qualche allarme - incalza Vinceti - bisogna investire in competenze, aggiornare le procedure, prevedere ogni possibile vulnerabilità. Ci sono decine di caveau svizzeri dove nessun ladro riuscirebbe mai a entrare. Forse i direttori dei grandi musei del mondo, a partire dal Louvre, dovrebbero iniziare a prendere lezioni da loro". Con una certezza, secondo Vinceti: "Finché continueremo a sottovalutare il problema, i ladri avranno sempre un passo di vantaggio. Nel frattempo, i responsabili del Louvre e della sicurezza dovrebbe vergognarsi ed essere immediatamente destituiti dal loro incarico". 

 

 

Secondo Vinceti, che nel suo libro "Il furto della Gioconda - Un falso al Louvre" ha ricostruito in modo approfondito quell'episodio, la narrazione tradizionale che vede Vincenzo Peruggia come unico responsabile del furto del 1911 è inesatta. "Il vero colpo fu compiuto dai fratelli Michele e Vincenzo Lancillotti, decoratori italiani che lavoravano all'interno del Louvre, amici di Peruggia. Non erano professionisti del crimine, eppure riuscirono ad agire indisturbati. Il dipinto fu recuperato solo due anni dopo a Firenze, quando Peruggia cercò di venderlo all'allora direttore degli Uffizi". Insomma, conclude Vinceti, "una storia che si ripete: sistemi antiquati, controlli insufficienti, e una fiducia eccessiva nella tecnologia".