guerra in medio oriente

Gaza, Israele cambia rotta sugli aiuti umanitari. “Inondare la Striscia”, c’è la svolta

Una prima barca, quella di Open Arms, avanza lentamente verso la Striscia di Gaza (al momento è dinanzi alle coste di Israele). Ma quando consegnerà gli aiuti, circa 200 tonnellate di cibo, saranno una goccia nell’oceano dei bisogni. Mentre cresce l’allarme per il rischio carestia a Gaza, ieri Israele ha fatto sapere che sta cercando di «inondare» Gaza di aiuti umanitari. A dirlo è stato il portavoce dell’esercito, Daniel Hagari, e la dichiarazione segna un’inversione di tendenza rispetto alla politica adottata finora, tenere allo stremo la Striscia come leva di pressione su Hamas perché liberi gli ostaggi. 

 

  

 

Hagari ne ha parlato ieri, a Tel Aviv, nel consueto briefing con la stampa: «Stiamo cercando di inondare l’area di rifornimenti» e ha aggiunto che Israele sta lavorando per aprire nuove rotte a terra e via mare, oltre a continuare a facilitare i lanci aerei (finora ce ne sono stati circa 30). Uno dei percorsi previsti è la nuova strada che Israele ha costruito nel centro della Striscia di Gaza, che è stata utilizzata martedì notte per la prima volta per consentire a un convoglio di rifornimenti di sei camion di accedere a Gaza City dopo essere stato ispezionato sul lato israeliano al valico di Kerem Shalom. 

 

 

Del resto la pressione internazionale è molto alta: l’Onu avverte da settimane che Gaza è a rischio carestia e l’Ue ha denunciato che la fame viene usata come arma di guerra nel territorio. Finora, secondo le Nazioni Unite, sono morti almeno 25 minori di malnutrizione e disidratazione, e la minaccia pesa come una nube nera su tutti i 335mila bambini nell’enclave palestinese. Una situazione ancora più grave nel Nord di Gaza, dove l’ingresso degli aiuti alimentari è completamente bloccato. Tra l’altro la distribuzione del cibo nella Striscia rimane pericolosa: solo ieri l’Onu ha denunciato che uno dei suoi magazzini a Rafah è stato colpito da un attacco che ha ucciso almeno uno dei suoi dipendenti e ne ha feriti diversi altri (Hamas sostiene che siano morte almeno quattro persone). Ieri c’è stata una riunione on-line di alti funzionari di Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito, Cipro, Emirati Arabi Uniti e Qatar che al termine hanno esortato Israele a facilitare gli aiuti. Del resto, l’Onu lo dice da tempo: le spedizioni marittime e i lanci aerei non possono bastare. L’incontro si è anche concentrato sul corridoio marittimo (a partire dalla prossima settimana si terranno delle riunioni logistiche a Cipro per definire i prossimi passi). Martedì infatti sono salpate dagli Stati Uniti quattro navi dell’esercito americano con un centinaio di soldati e l’attrezzatura necessaria per costruire un molo galleggiante e temporaneo, dinanzi le coste di Gaza. Ma i tempi, riferisce l'Agi, sono lunghi: almeno 60 giorni.