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Navalny, l'incubo del “Lupo polare”: tutte le torture del carcere estremo

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«Lupo polare», così viene chiamata la colonia penale a regime speciale Ik-3 in cui Alexey Navalny era arrivato il 23 dicembre scorso, dopo essere scomparso per 19 giorni, come previsto dal protocollo non scritto degli abusi previsti fin dai tempi degli zar per i detenuti politici in Russia, un lungo, tortuoso e segreto trasferimento noto come ’etap’. Aperto nel 1961 dove prima si trovava un gulag di epoca staliniana, Ik-3 è uno dei centri detentivi più remoti e inaccessibili del Paese, duemila chilometri a nordest di Mosca, in cui sono detenute più di mille persone, fra cui serial killer, stupratori, pedofili, pluri condannati, comunque persone che scontano pene di 20 anni o più o detenuti di alto profilo politico come lo era stato Platon Lebedev, ex partner in affari di Mikhail Khodorkovsky che vi passò due anni.

 

 

«L’inverno i detenuti vengono velocemente richiamati in cortile con indosso solo vestiti leggeri», aveva riferito nel 2018 un ex detenuto in una testimonianza raccolta da Olga Romanova, attivista per i diritti dei detenuti, intervistata da Radio Liberty. «Dovevano rimanere in riga e non era consentito loro di strofinarsi o battere le mani per riscaldarsi. Dovevano rimanere in quelle condizioni per 30 o 40 minuti, fermi, a meno 45 gradi. Se un detenuto si muoveva, venivano aperti i cannoni d’acqua contro tutti. In primavera arrivava una nuova tortura: le mosche e le zanzare. Se ti muovevi, arrivava il getto d’acque». Ed è in questo buco nero della Russia - la prigione si trova esattamente nella località di Harp, sul versante siberiano degli Urali, a migliaia di chilometri dagli insediamenti più vicini, nella regione di Yamal-Nenets - che è morto Navalny.

 

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