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Migranti, la Germania ora segue l’esempio italiano: stretta sui rimpatri

Pietro De Leo

C’è una circostanza politica che si va delineando sul dossier immigrazione. Ossia che mentre a livello di Esecutivo Ue si tarda per una risposta organica ai flussi irregolari, nella dimensione nazionale degli Stati è sempre più tangibile l’esigenza di un cambio di passo, per gestire un fenomeno che quest’anno, per via dei rivolgimenti geopolitici, vede una moltiplicazione delle criticità. Così, ieri un retroscena della Bild dava conto dell’intenzione del governo tedesco di un giro di vite sulla presenza dei clandestini. Secondo la testata, il cancelliere Olaf Scholz sarebbe in procinto di mettere sul tavolo nuove misure, con l’obiettivo di aumentare l’efficacia sui rimpatri. A questo proposito, per esempio, potrebbero essere create delle «strutture centrali di arrivo» da cui poi si procederà all’espulsione per gli irregolari. Inoltre, viene prefigurata una ri-organizzazione della struttura burocratica che si occupa dei rimpatri, prevedendo del personale a tempo pieno per velocizzare le pratiche.

 

  

 

Insomma, anche Berlino si adopera per un meccanismo più efficace del contrasto all’immigrazione clandestina. In attesa di capire quali saranno i passi concreti, già le intenzioni aggiungono peso politico ad un confronto che sul piano europeo è aumentato di intensità, anche con le prese di posizione del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ai consigli europei di febbraio e marzo, dove si è affrontato il tema e la necessità di protezione delle frontiere esterne. Da quel momento, a livello comunitario sono stati compiuti pochi passi in avanti, ma i Paesi premono. E se incentrare la strategia dei ricollocamenti dei richiedenti asilo è stata l’utopia inseguita per lunghi anni, ora si punta su espulsioni più veloci e sulla cooperazione. D’altronde, anche il piano su cui sta lavorando il ministro dell’Interno Piantedosi, di cui il Tempo ha dato anticipazioni giorni fa, punta proprio a questo. Sia attraverso un dialogo con i Paesi di partenza, sia con i Paesi terzi di transito, per i «rimpatri volontari assistiti», coinvolgendo l’Unhcr. Ma la necessità di un nuovo ritmo sulla gestione del fenomeno viene confermata anche dai recenti colloqui bilaterali tenuti da Giorgia Meloni. Il Primo ministro olandese, Mark Rutte l’ha messa giù così: «La migrazione richiede un approccio europeo efficiente». E ancora: «Dobbiamo armonizzare la politica dei visti ed essere più presenti in Africa». Il cancelliere austriaco Karl Nehammer ha spiegato che sul tema migratorio «serve portare avanti nuove misure, un nuovo paradigma» oltre a «procedimenti analoghi a quelli della Danimarca, sia noi che l’Italia».

 

 

Detto per inciso, la Danimarca (governata dai socialdemocratici) rivendica delle politiche molto restrittive (tra cui, per dirne una, un accordo con il Kosovo il quale prevede che un certo numero di stranieri detenuti possano scontare lì, in carcere, la loro pena). La ragione di tutto questo è molto facile da spiegare: gli arrivi impattano sulle condizioni del tessuto urbano dei Paesi che accolgono, sulla sicurezza, sull’opinione pubblica e dunque sul consenso dei governi. E nella logica delle dinamiche interne si legge la grave sgrammaticatura del ministro dell’Interno Gerald Darmanin contro le politiche migratorie del governo italiano. Ieri, il ministro degli Esteri Tajani è tornato sul tema: «Ci auguriamo che le frasi del ministro dell’Interno francese siano un incidente di percorso che però non può passare inosservato», ha detto. E sull’argomento si è pronunciata anche la Commissaria Ue agli Affari Interni Ylva Johansson, in un’intervista a Euronews: «Penso che l’Italia sia sottoposta a un’enorme pressione migratoria e che la stia gestendo piuttosto bene». Poi ha sottolineato che «non deve essere lasciata sola e deve essere supportata dalla Commissione».