Il caso

La maglietta di Lavrov simbolo della sconfitta russa

Santi Bailor

Un ministro degli Esteri russo, in questo caso Sergej Lavrov, con una maglietta di Basquiat addosso è il fotogramma evidente che gli Stati Uniti e la cultura occidentale hanno vinto e che la Russia ha perso. Non vogliamo qui entrare nel giallo delle condizioni di salute di Lavrov che si è scatenato ieri al G20, con Mosca che smentiva energicamente. Il fatto è che quella smentita è stata confezionata come un’iconografia, con la foto di Lavrov e la sua maglietta di Basquiat diffuse dai russi per dimostrare che il Ministro stava bene e non era in ospedale. Mai smentita fu più un boomerang, non per le condizioni di Lavrov, ma per la cultura russa rispetto all’Occidente.

 

  

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Jean-Michel Basquiat infatti è quanto di più anticonformista, critico del Potere dominante e libero, la cultura occidentale e americana abbia prodotto nel Novecento. Non l’unico artista libero del secolo scorso ovviamente, ma una voce importante. Esponente del graffitismo (cosa che non crediamo piaccia a Vladimir Putin) e della vita da consumare come arte, Basquiat si rivelerà anche uno dei protagonisti più talentuosi di quell’aria da fattoria artistica diffusa negli Usa, a New York, da Andy Warhol e dalla sua Pop Art. Perciò Lavrov avrebbe fatto meglio ad indossare una maglietta con sopra Fëdor Dostoevskij. La ragione è semplice: se la maglietta diventa uno dei mezzi per comunicare qualcosa agli altri (in questo caso la versione russa verso l’Occidente), ebbene a quel punto il mezzo è il messaggio. Si chiama comunicazione. E per capirlo non serve un graffito.