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Il trasformismo opportunista di Conte/Zelig: Gianluigi Paragone umilia Giuseppi per il suo tradimento

Gianluigi Paragone

«Noi abbiamo un Paese da cambiare», scrive Giuseppe Conte per sancire l'ennesima elezione a Presidente dei Cinquestelle scritta sulla sabbia. Ovviamente il cambiamento del Paese non passa dai piedi di Peppino ma se il Presidente ad horas ne è convinto, perché svegliarlo dall'incantesimo. Saranno gli italiani, alle prossime elezioni, a presentare il conto del tradimento a lui, a tutta la combriccola a cinque stelle e a coloro che si sono mangiati gli impegni. Conte sta vivendo la sua lunga commedia e poco importa che sia una commedia degli equivoci, una specie di vaudeville: premier populista e sovranista prima, premier europeista e ossequioso del Sistema con il Pd poi; interprete dell'emergenza Covid a botte di dpcm, di decreti e di Cts; amico di Putin tanto da accogliere militari e sanitari a braccia aperte e portafoglio spalancato (una missione costata un occhio della testa); precursore della Via della Seta ma anche amico di Trump che lo ricambiava con l'appellativo di Giuseppi. E poi ancora avvocato del popolo; presidente con la pochette, "padre" di un Movimento ripulito dai Vaffa grilleschi e nell'orbita del campo progressista filo Pd. Insomma mille parti in commedia senza essere nessuno in particolare, una specie di Zelig senza essere Woody Allen.

 

  

 

E col rischio che pure questa parte che si ostina a voler interpretare - il Presidente del M5S - gli rimanga appiccicata addosso visto che tutte le volte che si deve confrontare con un giudice terzo si ritrova con un pugno di mosche in mano (anche la Commissione sullo Statuto dei Partiti lo ha rimandato a settembre, lasciandolo a secco dal 2 per mille per ottenere il quale aveva interpellato parlamentari e iscritti). Peppino se la canta e se la suona, un po' come faceva ai tempi dell'emergenza Covid quando in lockdown era il solo a parlare a reti unificate. Ovviamente il mondo nel frattempo è cambiato e davanti a lui sono rimasti uno zoccoletto di attivisti, ben lontano dai numeri gloriosi delle stagioni precedenti. Perché i riflettori della scena non si spengano su di lui, Conte/Zelig dopo aver votato sì all'invio delle armi in Ucraina - adesso sta facendo la battaglia sul No all'aumento delle spese militari, quando quell'aumento lo sottoscrisse proprio lui a Palazzo Chigi nell'accordo Ue/Nato. Del resto l'agilità nelle capriole non gli manca e ce ne accorgemmo tutti sulla vicenda Benetton (dalla revoca senza se e senza ma della concessione all'avvio delle trattative per far entrare Cassa Depositi e Prestiti in Atlantia) o sulla conferma del condannato Alessandro Profumo alla guida di Leonardo.

 

 

 

Ora che però la gestione del potere è solo un ricordo, ecco che Giuseppi torna al linguaggio radicale e movimentista in una versione macchiettista, opportunista e pure patetica visto che alla prova del voto si accuccerà nella zona confortevole del sì (a differenza di Petrocelli, l'unico coerente della combriccola e proprio per questo in odor di espulsione), cercando qua e là le scuse buone per tirare a campare. E così come a Napoli un giudice gli ha ricordato che le regole non si possono bypassare, accadrà che un altro giudice boccerà sonoramente l'avvocato e tutto il movimento. Quel giudice si chiama Popolo.