La Tomba di Giuseppe contesa e oltraggiata
Incendiato il sito sacro a ebrei, musulmani e cristiani
L'intifada dei coltelli non ha risparmiato un luogo simbolo per le fedi monoteiste che discendono dal patriarca Abramo, come la Tomba di Giuseppe a Nablus, in Cisgiordania. Il «venerdì della collera» palestinese, proclamato da Hamas e Jihad a Gerusalemme e in Cisgiordania, ha innescato una nuova ondata di violenze che ha provcato quattro morti tra i palestinesi, il ferimento di un soldato israeliano e l'incendio del sito sacro agli ebrei, ai cristiani ma anche ai musulmani. La storia di Giuseppe è una delle più belle della Bibbia, narrata nella Genesi, ma anche nel Corano, che gli dedica l'intera Sura 12, una delle più lunghe, con un racconto peraltro simile a quello biblico. Secondo la tradizione ebraica, Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe, venduto per gelosia dai fratelli e mandato schiavo in Egitto, finì al servizio del consigliere del faraone, Potifar. La moglie di questi, invaghita di Giuseppe ma respinta, accusò Giuseppe di averla violentata e l'ebreo fu imprigionato. La sua capacità di interpretare i sogni, tuttavia, lo portò alla corte del faraone, di cui divenne fidato consigliere. Quando, dopo sette anni di abbondanza, scoppiò la carestia, in Egitto arrivarono i fratelli di Giuseppe ma non lo riconobbero. Li rimandò dal padre, per farli tornare col fratello Beniamino, trattenendo in ostaggio Simeone. Alla fine si rivelò ai fratelli e al padre, che lo aveva creduto morto, e le tribù ebree si stabilirono così in Egitto. Secondo il racconto biblico, Giuseppe, come aveva giurato a Giacobbe, seppellì il padre, dopo averlo fatto imbalsamare, nella tomba dei patriarchi, a Hebron, altro luogo sacro sia per gli ebrei che per i musulmani. I resti mortali di Giuseppe, invece, furono portati in Palestina in occasione dell'esodo del popolo ebraico dall'Egitto. Anche l'Islam considera Giuseppe un grande profeta, pertanto l'attacco alla sua tomba da parte palestinese ha suscitato grande sdegno. La zona fu conquistata da Israele nella guerra del 1967 e fino agli accordi di Oslo il sito fu progressivamente occupato dai fedeli ebrei a scapito dei musulmani, ai quali fu interdetto. Nel 1995, Nablus passò sotto la giurisdizione dell'Anp ma lo Stato ebraico mantenne il controllo su alcuni siti religiosi, tra cui la tomba di Giuseppe. Nel 2000, con l'avvio della seconda Intifada, la tomba fu attaccata da una folla palestinese che vi appiccò il fuoco, danneggiandola (ma le fazioni arabe accusarono l'esercito israeliano). Il mese seguente fu ceduta al controllo dell'Anp su insistenza dei vertici militari israeliani. Poche ore dopo la sua evacuazione, fu saccheggiata e data alle fiamme da manifestanti palestinesi. In seguito all'occupazione di Nablus durante l'operazione Scudo Difensivo del 2002, gruppi di ebrei ortodossi ripresero clandestinamente a recarsi in pellegrinaggio alla tomba. Dal 2009 le visite da parte di israeliani sono riprese una volta al mese. L'incendio è scoppiato all'alba. Un gruppo di manifestanti ha lanciato bottiglie molotov contro una parte del complesso della Tomba. Le forze di sicurezza palestinesi sono intervenute per disperdere gli assalitori, hanno ripreso il controllo del sito e le fiamme sono state domate. Il gesto è stato condannato dal presidente dell'Anp, Abu Mazen, che ha parlato di «atto irresponsabile». Il leader palestinese ha «deciso di formare immediatamente una commissione d'inchiesta» e di «far riparare i danni causati da questo gesto deplorevole». L'attacco ha dato fiato alla destra religiosa che, nel condannarlo, ha chiesto al governo guidato da Netanyahu di riprendere il controllo del sito. «Di nuovo si è visto che non c'è alternativa alla sovranità israeliana quando si tratta di proteggere i luoghi santi» ha affermato il leader dello Yesha Council, la lobby dei coloni, Avi Roeh. L'incendio dimostra che «solo Israele è in grado di proteggere i luoghi santi di tutte le religioni a Gerusalemme» ha commentato il direttore generale del ministero degli Esteri Dore Gold. Dura condanna anche dal Patriarcato latino di Gerusalemme che parla di «atto insensato e di estrema gravità», una «profanazione intollerabile» e invita le parti a far cessare le violenze e al dialogo. La situazione resta tesa in tutto il Paese. In concomitanza con il venerdì di preghiera, Hamas e Jihad hanno esortato a colpire l'esercito israeliano. La polizia, dispiegata in massa, ha vietato l'accesso alla Spianata, epicentro delle recenti tensioni, ai maschi sotto i 40 anni. A Kiryat Arba, alle porte di Hebron, un soldato di 20 anni è stato accoltellato da un palestinese, poi ucciso dalle forze di sicurezza. L'uomo indossava una pettorina da giornalista. Altri due palestinesi sono stati uccisi negli scontri con i militari israeliani al confine nord della Striscia di Gaza, che secondo il Jerusalem Post hanno causato anche 27 feriti. La quarta vittima a Beit Furik.
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