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Economia, famiglie più povere col governo Draghi: i dati inchiodano l’ex premier

Gianluca Zapponini

Tra il 2021 e il 2022, secondo Istat e Bankitalia, la ricchezza dei nuclei si è contratta fino a tornare ai livelli del 2005. La casa rimane una certezza, mentre le imprese resistono a guerra e inflazione. Le famiglie italiane erano un po’ meno ricche nel 2022. Quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi e non Giorgia Meloni. E quando la corsa forsennata dei tassi era cominciata sì, ma solo da qualche mese. Certo, i postumi della pandemia si andavano via via smaltendo, infuriava la guerra in Ucraina ma non era ancora scoppiato l’incendio in Medio Oriente. Ma se i numeri di Bankitalia e Istat non mentono, a fine 2022, quando la prima premier donna della storia italiana governava da un mese scarso, la ricchezza netta delle famiglie era stata pari a 10.421 miliardi, in calo sul 2021 dell’1,7% in termini nominali, dopo tre anni di crescita. Eredità di Draghi? Difficile dirlo, ma carta canta.

 

  

 

E attenzione al calo in termini reali, usando cioè come deflatore l’indice dei prezzi al consumo, che è stato più marcato (-12,5%). Incrociando i valori, ecco che il rapporto tra la ricchezza netta e il reddito lordo disponibile scendeva da 8,7 a 8,1, tornando ai livelli del 2005. Insomma, quando Mister Whatever it takes governava, le famiglie italiane si impoverivano. Tanto che, rammentano Bankitalia e Istat, in quel lasso di tempo la ricchezza delle famiglie italiane in rapporto al reddito lordo disponibile si è sì ridotta nel 2021 in diverse economie avanzate, ma solo in Italia è tornata ai livelli del 2005. Certo, il mattone è rimasto la certezza dei nuclei, come da migliore tradizione. Sempre alla fine del 2022, infatti, oltre la metà della ricchezza lorda delle famiglie italiane era composta da attività non finanziarie (55,2%) e in particolare da abitazioni (46,3%) e immobili non residenziali (5,6%). Tra i principali strumenti finanziari, invece, il risparmio gestito pesava per il 15,2%, seguito dai depositi (14,3%) e dalle azioni (11,5%).

 

 

Rispetto al 2021, l’incidenza delle attività reali è invece cresciuta di quasi due punti percentuali, il maggior incremento dal 2009. Ciò è stato determinato da un lato dall’aumento del valore delle abitazioni, dall'altro dalla forte contrazione delle attività finanziarie, per effetto dell’andamento dei prezzi degli strumenti finanziari. La nota positiva sono le imprese, che mantengono «un indebitamento contenuto nel confronto internazionale». Al termine del 2022, i debiti finanziari delle società non finanziarie italiane sono ammontati al 49% delle attività reali. In Italia, così come in Germania e Regno Unito, il livello di indebitamento delle imprese «è relativamente contenuto e sensibilmente inferiore a quello di Francia e Canada». La riduzione dell’indebitamento, osservata nei diversi Paesi già dal 2021, ha interessato nel 2022 anche le imprese italiane, seppure in misura ridotta nel confronto internazionale. E anche questa è una buona notizia.