La rivincita di Vissani La Cassazione gli ridà tutti i beni sequestrati
Il grande amico di Massimo D'Alema, il «cuoco della sinistra» che l'ex leader Ds non esitava a chiamare «il maestro», l'antesignano degli chef catodici che oggi sequestrano i palinsesti televisivi, il mattatore dei fornelli coccolato da Gambero Rosso e Guida Michelin con le radici, il cuore e il ristorante ben piantati nella rossa Umbria. Infine, dal 2011 e purtroppo per soli nove mesi, anche gestore di una masseria altamurana affidata alle sue cure dall'Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati alla mafia. Tutto questo è Gianfranco Vissani. E per tutto questo, nel 2013, aveva fatto rumore la tegola che gli era piovuta addosso proprio nella sua regione: un processo per evasione fiscale aperto davanti al tribunale di Orvieto, per una somma quantificata in oltre 2 milioni di euro dall'accusa a fronte di una contestazione iniziale di circa 6 milioni, cifra ridotta dopo l'accertamento con adesione – in pratica un concordato – a cui lo chef era ricorso per sanare in parte il contenzioso. Fatture contestate, testimonianze di alcuni fornitori, documenti che avrebbero dimostrato come addebitate al ristorante «Vissani» di Civitella del Lago spese destinate in realtà ad altri scopi: questo il materiale confluito nel processo e che, secondo quando sempre sostenuto dalla difesa dello chef, non avrebbe dovuto nemmeno dare luogo a un procedimento di tipo penale. Un procedimento, nel frattempo trasferito a Terni, che seppur a rischio prescrizione sin dall'origine (le dichiarazioni contestate si riferiscono a redditi che vanno dal 2005 al 2007), il 15 aprile dell'anno scorso ha conosciuto uno snodo clamoroso: il sequestro preventivo - disposto dal tribunale ternano - dei beni immobili riferibili a Vissani e al figlio fino all'ammontare di 3,4 milioni di euro. Il tutto in riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ascritto al solo chef, per aver «alienato simultaneamente immobii e quote della società Vissani s.r.l. al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte» negli anni oggetto delle contestazioni fiscali. Accuse assai poco gradevoli per il cuoco più amato a sinistra, ma apprezzato anche da Italo Bocchino con cui nel 2010 fu immortalato alle Eolie e da cui fu chiamato a curare il ricco buffet che allietò il congresso costituente di Futuro e Libertà. Vissani, sempre secondo il tribunale di Terni che ha accolto la richiesta di sequestro dei suoi beni, pur avendo assunto di aver venduto beni e quote societarie proprio per pagare il proprio debito con l'erario, avrebbe in realtà poi corrisposto allo Stato solo una parte di questa somma. Adesso però per Vissani, dopo i bocconi amarissimi apparecchiati dal tribunale umbro, dalla Cassazione arriva una notizia positiva. La Suprema Corte lo scorso autunno ha infatti annullato con rinvio l'ordinanza di sequestro, e nelle motivazioni depositate ieri si leggono parole rinfrancanti per l'ex mattatore dei fornelli di Raiuno. Che nello stesso tempo prendono letteralmente a schiaffi i giudici ternani. L'ordinanza del tribunale di Terni, scrivono i giudici della Cassazione, «conclude che la Vissani s.r.l. costituirebbe un mero schermo dietro il quale opererebbe l'indagato, soltanto in considerazione della prevalenza personale e diretta del Vissani Gianfranco, che costituisce egli stesso marchio, motore e realizzatore dell'attività». «Motivazioni», concludono i giudici del Palazzaccio, «la cui palese inadeguatezza deve essere censurata da questa Corte». Un respiro di sollievo, in attesa dei prossimi sviluppi della vera e propria altalena giudiziaria cui è sottoposto lo chef. Mentre restano lontani, sullo sfondo, i tempi dei massimi fasti televisivi e delle scenette apparecchiate con l'amico D'Alema. Come quella, rimasta a lungo conficcata nell'immaginario collettivo, del risotto cucinato nel 1997 dall'ex premier in diretta tv nel salotto di Bruno Vespa, con improvvisa apparizione di Vissani a suggellare di fronte agli italiani un sodalizio cementato dagli intingoli. Un'era politica fa.
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