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Scalfari e Montanelli quei due novantenni così diversi fra loro

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 Il fondatore di Repubblica dialoga con Dio. L'altro era un anarchico estraneo al Palazzo

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Sarà che a Fucecchio, un borgo toscano, diviso tra sopra (basso) e sotto (alto), lontano da Roma, non se lo scorderanno più il compleanno dei novant'anni di Indro Montanelli, giornalista del Corriere della Sera e poi direttore e fondatore de Il Giornale , gambizzato negli anni di piombo dalla furia brigatista. Era il 22 aprile del 1999, con tutti quei pezzi grossi - Gianni Agnelli, Cesare Romiti, Gianni Letta e un sacco di altra élite nazionale - con quel menu della tradizione toscana a metter allegria, ribollita, pappa con il pomodoro, ravioli con ricotta, farro, tagliata con punte di asparagi, un brindisi con dodici magnum di prosecco ed una torta grande e cremosa a forma di Lettera 22. Sarà che Indro Montanelli lo disse schietto che il suo piacere, ed anche il suo limite, «è quello di fare un articolo, non un giornale» perché «non sono Eugenio Scalfari. Lui ha la mentalità dell'imprenditore, che a me è estranea, è un editore che sa fare i conti ed è un direttore. Ma come giornalista credo di essere io qualcosa di più». Sarà che dopo tutti quei convenevoli, all'ennesimo complimento il vecchio Indro non aveva retto più: «E lo so, son cerimonie scoccianti. Io per primo non c'andrei», per poi aggiungere rivolto a Gianni Agnelli: «Lo ringrazio per essere arrivato fin qui. Io per Montanelli un l'avrei mica fatto». Sarà per questo, forse, che lui, Indro, i suoi 90 anni scelse di festeggiarli nel paese natio e non altrove. Certo non al Teatro Argentina di Roma, dove invece li ha festeggiati ieri, i suoi primi novanta, Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica , alle 5 e 30 della sera. Con tanto di prenotazione del posto (ma i biglietti erano già esauriti dalla settimana scorsa). Insomma, due novantenni diversi, Indro ed Eugenio. Il primo che se ne è sempre fottuto del divenire politico, di candidarsi, di trovare uno scranno di senatore a vita. Lo aveva ben compreso il carattere anarchico di Montanelli il vecchio Francesco Cossiga che nel giorno dei suoi 90 anni lo ricordò per il suo rifiuto del seggio di senatore a vita, che egli (Cossiga) gli propose quando era presidente della Repubblica, nel 1991. Un rifiuto, disse Cossiga, che dimostrava l'altissima «indipendenza professionale» di Montanelli. «Indro Montanelli - ricorda Cossiga - mi scrisse una lettera chiara e nobile, con la quale rinunciava alla nomina, dando dimostrazione di un senso eccezionale di indipendenza professionale e di libertà di spirito, che io credo doveroso ricordare in occasione del suo novantesimo compleanno». A testimonianza che il "no" di Montanelli non lo offese Cossiga diffuse poi in quel 1999, assieme al suo messaggio, copia della lettera in cui l'allora direttore del Giornale scriveva: "Mi sentirei profondamente onorato di venire accolto in una élite come quella dei senatori a vita, in cui figura il meglio della Nazione sia sul piano intellettuale che su quello morale. Lo considererei il coronamento più gratificante della mia vita e della mia carriera. Purtroppo, il modello di giornalista assolutamente indipendente, anzi estraneo al Palazzo, che per 60 anni ho perseguito e, spero, realizzato, mi vieta di accettare la lusinghiera offerta". Perché Fucecchio sta lontano da Roma e se Eugenio festeggia nella Capitale il suo fare novanta, beh Indro no. Se ne rimane lassù nella terra di Toscana, incazzato con il mondo e pure con se stesso. Che poi i due, al fondo, siano profondamente differenti ce lo dice il loro cimentarsi nella pubblicistica. Indro gioca il proprio confine d'ambizione tra giornalismo e storia, sciorinando assieme al caro e vecchio amico Mario Cervi una infinità di libri sulla storia d'Italia. Eugenio no, punta dritto alla filosofia cercando dialoghi con Io e pure con (D)io, provando a scambiarsi missive sulle sorti dell'umanità e dell'uomo nientemeno che con il Papa. Si tratta, insomma, di due giornalisti e di due novantenni diversi. Scalfari è stato pure parlamentare per un breve periodo, Indro mai. Lui che aveva raccontato la Finlandia - nella II guerra mondiale - e l'Ungheria ai tempi dell'invasione sovietica era ed è rimasto anarchico sino alla fine. Sarà che a Fucecchio dove fanno il Palio ma non è famoso come quello di Siena non amano troppo il Potere, stiracchiati come sono tra Firenze ed Empoli, su il confine. Ma Indro nella sua vita di politica non ne ha voluto sapere e tutt'al più si è concesso incursioni nel cinema, dove è stato regista de I sogni muoiono all'alba , con uno straordinario Renzo Montagnani. Un attore che lui amava e stimava per la sua umanità. Uno, il Montagnani che non è mai appartenuto al circolo dei registi e degli attori impegnati e chic, quelli amati dalla sinistra intellettuale. Perché il Montagnani - come Montanelli - gli era uno verace. In Amici miei atto II , quando nella parte del Necchi, la sua moglie gli mette le corna, i compagni di zingarate lo sfottono: «Sii furbo come un cervo». E lui, «Che bischerate tu dici? Il cervo non è astuto. Semmai, astuto come una volpe». E il Conte Mascetti: «Sì, ma la volpe 'un ci ha mica le corna». Ecco le corna della politica il Montanelli non le ha mai avute, perché da anarchico disprezzava il mondo, al punto da sottolineare spesso che "il bordello è l'unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto". Grazie Indro, novantenne diverso da Eugenio.

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