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Il proprietario del Cocoricò: «Daspo in discoteca»

Dopo la chiusura imposta dalla Questura il titolare De Meis si sfoga con Il Tempo: «Rischiamo il fallimento. Non riapriremo più» LEGGI ANCHE Così i giovani vanno Ecstasy

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Fabrizio De Meis è scuro in volto. Come chi ha appena ricevuto una batosta da cui potrebbe non rialzarsi più. È uno dei cinque soci del Cocoricò, la discoteca di Riccione chiusa dalla Questura di Rimini per quattro mesi in seguito alla morte per overdose di ecstasy del giovanissimo Lamberto Lucaccioni. Lo scorso 19 luglio su quella pista da ballo non si è fermata solo la vita di un ragazzo ma forse anche la possibilità di conciliare legalità e vita notturna. Il titolare del locale esprime forte vicinanza alla famiglia del ragazzo di Città di Castello ma sottolinea che la chiusura del Cocoricò non risolverà il problema dello spaccio di droga. Anzi. L'unico risultato sarà quello di far fallire un'azienda che dà lavoro a duecento dipendenti, spostando la piaga degli spacciatori solo qualche metro più in là.     Fabrizio De Meis, cosa pensa dell'ordinanza della Questura di Rimini? «È un provvedimento inutile che non risolve il problema dello spaccio di droga. Faremo ricorso al Tar e, se verrà respinto, chiuderemo definitivamente i battenti. In questo periodo dell'anno non potremmo sopravvivere a una chiusura di 120 giorni».     Qual è il danno economico provocato dalla chiusura della discoteca ad agosto e settembre? «Il nostro fatturato si aggira sui 4 milioni di euro all'anno. Circa la metà di questi soldi li facciamo nei mesi estivi. Per questo la chiusura decisa dalla Questura ci provocherà un danno di 2 milioni di euro. Senza contare le conseguenze sull'indotto».     Quanti sono i dipendenti che lavorano attualmente al Cocoricò e che potrebbero trovarsi improvvisamente senza lavoro? «La nostra società non si occupa solo della discoteca ma abbiamo anche un'agenzia di viaggi che prepara pacchetti turistici per chi vuole venire a Riccione. Tra dipendenti e collaboratori ci sono circa duecento persone che lavorano per noi. Duecento famiglie che rischiano di perdere tutto con la chiusura del Cocoricò».     Se il Tar non dovesse accogliere il ricorso, ci potrebbero essere altre strade per salvare i posti di lavoro? «In questo momento non ci stiamo pensando ma certamente potremmo trovare altre strade per proseguire la nostra attività».     Quali opportunità sta prendendo in considerazione? «Ci hanno già contattato da Ibiza. Con i locali delle Baleari abbiamo già in piedi varie collaborazioni. La prossima è in programma il 16 agosto. In questo momento, però, vorrei tentare il tutto per tutto e fare proposte alternative che possano risolvere il problema dello spaccio di droga senza inutili e controproducenti chiusure delle attività commerciali».     Come si può rendere la vita difficile agli spacciatori che si intrufolano all'interno di una discoteca? «C'è una proposta di legge ferma da tempo in Parlamento che prevede l'istituzione di un Daspo per le discoteche. Il sistema è analogo a quello che vige negli stadi di calcio. In altre parole chi commette reati all'interno di un locale notturno non ci deve più mettere piede. La proposta è ferma da un anno alla Camera e, a questo punto, è arrivato il momento di riprenderla in mano. E questa non è la nostra unica proposta».     Cos'altro si può fare per combattere l'uso e l'abuso di droghe? «Chiediamo anche la possibilità di eseguire tamponi sulla saliva dei clienti all'entrata e all'uscita dal locale. Così potremmo facilmente individuare chi fa uso di sostanze stupefacenti prima o durante la permanenza in discoteca. Attualmente abbiamo anche un problema legato alla privacy che ci impedisce di fare perquisizioni a tappeto sugli avventori».     Secondo lei non si potrebbe agire restringendo gli orari di apertura delle discoteche? «Sarebbe un altro provvedimento inutile che non fungerebbe da deterrente. Chi si vuole sballare lo può fare a qualunque ora. Qui il problema non è l'orario di chiusura ma la necessità di cambiare cultura».     Alcuni gestori di discoteche propongono di introdurre il divieto di accesso ai minori. È d'accordo? «Già adesso pretendiamo il documento d'identità e non facciamo entrare chi ha meno di 16 anni. Poi diamo il braccialetto che consente di acquistare alcolici solo ai maggiorenni».     Non è la prima volta che il Cocoricò subisce provvedimenti di chiusura temporanea. Quali sono state le motivazioni in passato? «Da anni siamo impegnati in prima linea nella lotta alla droga. In varie occasioni abbiamo collaborato con le forze dell'ordine facendo arrestare spacciatori che agivano all'interno della nostra discoteca. Il paradosso, però, è che ogni volta che facciamo arrestare i delinquenti poi ci fanno chiudere perché nel locale ci sono spacciatori. È un serpente che si morde la coda. Bisogna spezzare questo sistema creando un circolo virtuoso di collaborazione con le forze dell'ordine. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: il divertimento sano».     Quali iniziative avete già messo in campo per ostacolare l'uso e l'abuso di droga in discoteca? «Abbiamo un sistema di videosorveglianza all'avanguardia che può contare su oltre cinquanta telecamere montate all'esterno e all'interno del locale. Facciamo continue campagne di informazione contro la droga attraverso i canali più disparati. Basta entrare nel nostro locale per rendersene conto. Senza dimenticare che collaboriamo con la Comunità di San Patrignano con cui organizziamo eventi di solidarietà. Il nostro impegno contro la droga è sotto gli occhi di tutti ed è dichiarato persino nell'ordinanza di chiusura disposta dalla Questura di Rimini».     Nelle ultime ore si è diffusa anche la notizia dell'indagine della Guardia di Finanza sui conti del Cocoricò. Cosa ci può dire al riguardo? «Non so nulla dell'indagine della Guardia di Finanza. Ma in questo momento vorrei parlare di altro».     Lei è anche presidente del Rimini Calcio. Ci potrebbero essere ripercussioni su questo fronte? «Non ho niente da dire».     Dopo la decisione della Questura di Rimini si sente in parte vittima di una sorta di persecuzione? «Il questore ha fatto le sue valutazioni. Non sta a me dire se la decisione sia giusta o sbagliata. Ma una cosa è certa: con la chiusura di un locale non si risolve il problema dello spaccio di droga».

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