Le "verità" del Principe di Testaccio fra mazzette, clero e alta politica
Intercettazioni e conti correnti, ecco gli affari di Mancini, legato a Diotallevi
«Il finanziatore illecito» dell'imprenditoria romana. Ma anche un abile investitore di capitali di presunta provenienza dalla Banda della Magliana, in appalti e sub appalti pubblici, oltre ad avere rapporti tutti da chiarire con l'Enasarco, l'ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio sottoposto alla vigilanza dei ministeri del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Così è disegnato nelle informative della Squadra mobile di Roma Luciano Mancini, detto «er Principe». Legato a doppio filo col gruppo dei «Testaccini», capeggiati da Ernesto Diotallevi, compare negli atti della Banda fin dagli anni '80, da quando presiedeva la «famigerata cooperativa edilizia Delta srl», un «collettore di risorse finanziarie da collocare in prestiti con tassi del 10% mensili». Ma «oggi - si legge negli atti - come allora», sarebbe entrato in contatto con importanti ambienti dell'imprenditoria romana, della politica e del Vaticano. GLI USURAI DI CAMPO DE' FIORI Il denaro all'ex della Banda della Magliana non mancherebbe. È lo stesso Mancini a riferirlo in una conversazione telefonica intercettata, affermando di avere una «grande disponibilità finanziaria». Un tesoro che sarebbe stato «ereditato dal cognato, Amleto Fabiani, storico esponente della Banda morto in un agguato». Secondo gli investigatori «non è difficile che questo patrimonio sia accresciuto nel tempo attraverso una lucrativa attività di usuraio, attività che accomuna Luciano Mancini e Giuseppe De Tomasi ed altri nel cosiddetto gruppo degli «usurai di Campo de' Fiori», i quali hanno svolto questa attività sin dai primi anni ‘80». PARTITI E PRELATI Stando alle intercettazioni finite agli atti dell'informativa, risulterebbe che Mancini sia stato in stretti contatti con rilevanti esponenti politici e del Vaticano, attraverso cui riuscirebbe a ottenere appalti e sub appalti pubblici. Nell'atto, infatti, si legge che «da quanto emerso nel corso dell'attività d'intercettazione, la figura di Luciano Mancini si contraddistingue (…) per le numerose attività in cui lo stesso sembra sempre impegnato, intrecciando rapporti con personaggi comunque legati al mondo dell'imprenditoria, o a determinate forme dell'imprenditoria, le cui relazioni lasciano spazio a dubbi sulla trasparenza di certe trattative, accennando a conoscenze tra politici ed alti prelati in Vaticano pronti a suo dire a coadiuvarlo negli investimenti ed appalti a cui lo stesso è infaticabilmente interessato». GLI APPALTI PUBBLICI A «riprova di ciò», precisano gli investigatori, «si fa un inciso relativo all'accenno che il Mancini fa durante una conversazione con la moglie, riguardo ad un suo coinvolgimento in un'attività d'indagine condotta dal Commissariato Ps di Monteverde in relazione a dei lavori che lui stesso doveva fare «con il figlio dell'onorevole dello Sri Lanka». Secondo quanto si legge «è rilevante il fatto che Mancini con la sua attività societaria sia fortemente introdotto nei gangli dell'economia della Capitale, e nel sistema degli appalti pubblici. Occorre, infatti, evidenziare che il Mancini sia «ufficialmente» co-titolare della Mirel srl, una società che si occupa di attività immobiliare ed edilizia, con appalti e sub appalti da persone ed enti pubblici e privati. Dalle intercettazioni, inoltre, si è appreso che il Mancini abbia da poco tempo investito denaro in una società di trasporto terra da cave con camion». LE TANGENTI ALL'ENASARCO Di particolare interesse sono i rapporti che «er Principe» avrebbe avuto con l'Enasarco. L'obiettivo di Mancini sarebbe quello di entrare in possesso di un locale dell'ente da adibire a bar. Di questo ne parla con Franco Laosabbato, al quale precisa che «io ci sto sempre a provà ma non vedi non riesco a chiude quel negozio ma non ci riesco...mi deve dare il permesso il direttoredell'Enarsarco...ma...hanno paura che li arrestano tutti per tangenti».
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