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Vent'anni fa il primo videomessaggio Così Berlusconi ha cambiato la politica

WOJTYLA: CERIMONIA DI BEATIFICAZIONE

di Riccardo Scarpa 

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Vent'anni fa Berlusconi e tutto non fu più come prima. Era il 26 gennaio 1994 e l'Italia, abituata a sorbirsi a rete unificate soprattutto i messaggi di fine anno del Capo dello Stato, improvvisamente si trovò ad ascoltarne uno non irradiato dal Quirinale. Luce morbida, circondato dai libri, con le foto dei cari incorniciate e bene in vista, sorridente, rassicurante, Silvio Berlusconi irruppe nelle nostre case a cassette tv unificate per annunciare la sua discesa in campo: «L'Italia è il Paese che amo, qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un sistema illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato fallimentare...» Nove minuti la durata del discorso che chiamava alle armi tutti i liberaldemocratici sotto le insegne di Forza Italia, il partito che il neo leader aveva messo in piedi solo un mese prima. Il 6 febbraio la prima uscita alla Fiera di Roma, il 27 marzo il trionfo elettorale: la coalizione di centrodestra guidata da Silvio Berlusconi vince col 42,9 per cento dei voti, il Partito popolare ex Dc di Martinazzoli, unito al Patto Segni, si ferma al 16 per cento. La Dc, uscita dalla Camera con 206 deputati, vi rientra con 46. La gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, leader del Pds ex Pci, arenata sul bagnasciuga. L'11 maggio del 1994 Berlusconi presta giuramento al Quirinale con il suo governo. Scalfaro è scurissimo in volto, livoroso portabandiera di un'offensiva politico-giudiziaria senza precedenti, che si sarebbe sviluppata per venti anni fino ad oggi, senza esclusione di colpi bassi, bassissimi e terribilmente demolitori. Da allora il berlusconismo ha segnato in maniera indelebile la storia italiana. Anzi, è stato lo stesso Berlusconi a scriverla questa storia, quattro volte presidente del Consiglio, all'inizio clamoroso collettore di consensi elettorali, caduto dopo, per risorgere poi dalle ceneri dei suoi stessi fallimenti, solidamente sugli altari, quindi rovinosamente nella polvere, politico più perseguitato dalla magistratura militante, infine condannato ed espulso dal Senato, oggi ufficialmente incandidabile. Dal Senato ha contribuito ad espellerlo proprio il suo più solido «alleato» attuale, quel Matteo Renzi che con il patto del Nazareno sta di fatto costruendo per l'ex Cavaliere un monumento da riformatore che neppure Berlusconi sarebbe stato capace di erigere per se stesso. Perché le cosiddette riforme di Renzi sono in carta carbone proprio quelle inseguite dal leader di Forza Italia, ma negategli per vent'anni. Si potrebbe dire paradossalmente che oggi non è Renzi che si sta facendo largo a destra, ma piuttosto Berlusconi a sinistra. La mancanza di poteri del premier, il superamento dell'articolo 18 passando per la riforma della Giustizia, sono diventati temi del governo. Il nuovo Pd ha dimenticato la «bellezza delle tasse» di Padoa Schioppa, anzi ha cercato di abbassarle con gli 80 euro, oggi contrasta come Tremonti il rigore europeista, contratta con Verdini una legge elettorale che premi il partito e non la coalizione, sfida come Brunetta la pubblica amministrazione e persino si mobilita perché tutte queste riforme «berlusconiane» vengano approvate. Sarà interessante soprattutto vedere che fine farà quella della giustizia ora che anche il Pd riconosce che i rapporti fra politica e magistratura sono da ridefinire, dopo un ventennio di colpevole cessione di sovranità alle procure. Insomma, Berlusconi può festeggiare i venti anni della sua contrastata e movimentata vicenda politica con qualche soddisfazione. Aveva sognato una rivoluzione liberale che non è riuscito a realizzare, è inciampato in scandaletti sessuali che doveva piuttosto evitare per rispetto della carica che ricopriva, ha nutrito progetti riformatori non coronati dal successo, ma recuperati dalla parte avversa e a dispetto dei grandi odii che lo hanno inseguito insieme a fanatiche manifestazioni di fedeltà resta, seppure elettoralmente azzoppato, al centro della scena. In attesa di non impossibili riparazioni. Ieri il Tar ha sentenziato, come aveva fatto con De Magistris a Napoli, che la legge Severino non è applicabile neppure per l'ex sindaco di Salerno, Enzo De Luca, condannato per abuso d'ufficio. La Severino è stata considerata retroattiva solo per Berlusconi. A conferma che in questo Paese le leggi non si applicano, si interpretano.

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