Catania-Palermo derby killer. Ucciso l'ispettore Raciti
Guerra civile dopo la partita al «Massimino». Scontri tra tifosi e forze dell'ordine, oltre 70 feriti
CATANIA - È partito sotto i peggiori auspici, tra il fumo dei lacrimogeni lanciati contro gli Ultras dai poliziotti in assetto antisommossa schierati fuori dallo stadio «Massimino», ed è finito in tragedia il derby Palermo-Catania, costato la vita ad un agente del reparto Mobile, Filippo Raciti, di 38 anni, ucciso dalle esalazioni di una bomba carta lanciata nella vettura di servizio in cui si trovava. Un altro agente è ricoverato all'ospedale Garibaldi in gravi condizioni, ma non sarebbe in pericolo di vita. Centinaia i feriti: oltre 70 sarebbero agenti di polizia. Nove tifosi del Catania, cinque adulti e quattro minorenni, sono stati arrestati. Non sono serviti a nulla gli appelli alla correttezza rivolti nei giorni scorsi alle due tifoserie, né le massicce misure di sicurezza adottate dalle forze dell'ordine: dal divieto di ingresso allo stadio agli sportivi sprovvisti di biglietto, all'imponente servizio di scorta per i tifosi palermitani. Gli ultras delle due squadre non sono venuti a contatto, separati da una rete guardata a vista da centinaia di agenti. Ma gli scontri ci sono stati: questa volta tra tifosi e forze dell'ordine. E il bilancio è pesantissimo. La cronaca del derby della follia comincia all'inizio del secondo tempo. Il Palermo ha appena segnato il gol del vantaggio. I tifosi rosanero, arrivati allo stadio a partita iniziata per un errore degli autisti dei pullman che avrebbero sbagliato strada, raggiungono gli ingressi, scortati dalla polizia. Un gruppo di ultras catanesi, rimasti fuori dal «Massimino», prova ad avvicinarsi agli avversari. Gli agenti fanno muro e impediscono il contatto. La reazione dei supporters etnei è immediata: una pioggia di petardi e sassi, investe le forze dell'ordine che reagiscono lanciando i lacrimogeni. Il fumo arriva nello stadio: l'arbitro Farina ferma la partita. Fuori dallo stadio si assiste a scene di guerriglia: l'aria è irrespirabile, gli agenti ormai caricano i tifosi catanesi. Alle 19:48, quaranta minuti dopo la sospensione, si torna a giocare. Si contano i primi feriti. Col passare dei minuti decine di persone si presentano all'ospedale Garibaldi. Contusioni, intossicazione da lacrimogeni, lievi escoriazioni per la maggior parte di loro. Non ci sono casi gravi. Subito gravissimo appare, invece, l'ispettore Raciti. I medici cercano di rianimarlo. È in arresto cardio-respiratorio per le esalazioni della bomba carta, ma il cuore non riprende a battere. L'ispettore capo di polizia Filippo Raciti è stato ferito mortalmente dopo avere arrestato, con un altro agente, un ultras del Catania. Raciti è rimasto in auto, all'esterno della Curva nord del Massimino, ed è stato colpito da un oggetto contundente al torace. Successivamente all'interno dell'auto sono esplose una bomba carta e un petardo: l'inalazione dei fumi sprigionati, assieme al trauma toracico subito poco prima, avrebbero causato la morte del poliziotto. I medici lo dichiarano morto alle 22:10. In condizioni serie è anche un collega della vittima: è in prognosi riservata ma, secondo i sanitari, non sarebbe in pericolo di vita. Le notizie degli scontri e della tragica morte dell'agente raggiungono i giocatori del Palermo rimasti all'interno dello stadio «blindato». Poco dopo la mezzanotte la squadra lascia il «Massimino» diretta a Palermo, scortata dalle forze dell'ordine. Lo stesso avviene con i pullman dei suoi tifosi. «Chiederemo al Presidente del Consiglio di riceverci: pretenderemo drastiche ed immediate modifiche alle normative vigenti affinchè nessuno pensi più di poter ferire o uccidere un poliziotto senza la certezza di farsi 30 anni di galera, senza sconti, indulti, amnistia, prescrizioni o grazie alcune». Afferma in un comunicato il segretario generale del sindacato di polizia Coisp Franco Maccari, che esprime «dolore misto ad una incontenibile rabbia». Il Siulp invita i colleghi poliziotti a «resistere al dolore tremendo e mantenere alto, anzi altissimo il nostro senso di responsabilità», mentre il Sindacato autonomo di polizia parla di una «tragedia che poteva essere evitata». Il calcio si ferma di nuovo, ancora una vittima proprio nel giorno che doveva ricordare il dirigente rimasto ucciso la settimana scorsa a seguito di una lite con dei tifosi. Non è servito a nulla e stavolta bisogna fare qualcosa davvero. PANCALLI: «BASTA COSÌ FERMO TUTTO» Dove non riuscì l'onda nera di calciopoli, è arrivata la follia cieca e violenta di chi, mascherandosi dietro l'etichetta di tifoso, va a vedere partite di calcio per aggredire, picchiare e, prima o poi, uccidere. Il calcio italiano si arrende e chiude gli ingressi di tutti gli stadi, da quelli della serie A e della nazionale ai campetti di periferia delle giovanili. Mai l'Italia aveva preso un provvedimento così drastico. L'unico precedente di una domenica senza campionato dodici anni fa, per la morte di Vincenzo Spagnuolo, il tifoso del Genoa ucciso con una coltellata prima di un Genoa-Milan: ma quello del 5 febbraio 1995 fu un blocco simbolico e di una giornata. Stavolta ci si ferma e non si riprende - avverte la Federcalcio - finchè non si inverte la rotta. La decisione del commissario straordinario della Federcalcio Luca Pancalli è arrivata pochi minuti dopo che la questura di Catania aveva confermato che l'ispettore Filippo Raciti era morto in ospedale soffocato dal fumo di una bomba carta gettata nella sua vettura da un presunto «tifoso» catanese. Il responsabile della Figc si è precipitato in via Allegri e, dopo aver sentito al telefono il presidente del consiglio Prodi e i ministri Amato e Melandri, ha reso pubblica la decisione di bloccare totalmente il weekend calcistico. Ma nella testa di Pancalli la sospensione va al di là di oggi e domani. Il commissario è convinto che si potrà riprendere a dare pedate sui terreni di gioco solo quando questo non sarà più occasione per esplosioni di violenza omicida. «Non è sufficiente una giornata. Senza misure drastiche non si riparte. Per questo lunedì ci ritroveremo per un tavolo di emergenza con Prodi e i ministri Melandri e Amato. Io così non vado avanti, la notizia mi ha sconvolto prima di tutto come italiano e come uomo di sport. Sono convinto di trovare il consenso di tutte le persone perbene. Sono dell'avviso di non ripartire fintanto che non verranno isolati questi facinorosi. Si tratta di delinquenza pura che non dovrebbe avere accesso allo stadio. Bisogna dare risposte severe e forti». Pancalli ha chiuso la sua dichiarazione con un amaro cenno agli Europei per la cui organizzazione si è candidata l'Italia. «Se per questa follia perderemo i campionati del 2012 ce lo saremo meritato». Pancalli intorno a sè ha trovato solo solidarietà e pieno appoggio alla sua decisione. Il primo a pronunciarsi è stato il presidente del Coni, Gianni Petrucci. «Qualsiasi decisione la Figc voglia prendere dopo i tragici fatti di Catania avrà il Coni al suo fianco», aveva detto al telefono il numero uno del nostro sport, dando così il via libera al commissario per la decisione dello stop. Sulla stessa lunghezza d'onda Giancarlo Abete, il candidato favorito alla presidenza della Figc nelle prossime elezioni federali. «Condivido in pieno la decisione del commissario straordinario Luca Pancalli di fermare tutti i campionati di fronte ad eventi di così straordinaria gravità. Esprimo inoltre profondo dolore e sentito cordoglio ai familiari per l'assurda morte dell'ispettore Filippo Raciti» (...).
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