Foibe, una verità nascosta per 50 anni in nome dell'ideologia
*presidente della Fondazione Roma
Sono molte le tragedie che hanno attraversato lo scorso secolo, segnando con il sigillo della morte interi Paesi e civiltà e contribuendo a fare del '900 uno dei periodi più dolorosi della storia dell'umanità. In taluni casi, tuttavia, all'orrore della violenza, della guerra, della miseria, della distruzione, si è aggiunta una damnatio memoriae ancor più spietata, che ha indotto i responsabili di ciascun evento a cancellare ogni traccia, non solo fisica, di quanto accaduto, affinché nulla fosse tramandato alle nuove generazioni. Questo è certamente il caso delle «foibe giuliane», fosse naturali carsiche dentro le quali furono sepolti nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945, ad opera di partigiani e soldati jugoslavi, alcune migliaia di civili e militari istriani, giuliani e dalmati, colpevoli di essere di origine italiana, vittime di una pulizia etnica frutto di un disegno politico criminale, accuratamente preparato ed eseguito, che esigeva che essi fossero sacrificati sull'altare di un nazionalismo esasperato, si direbbe oggi «fondamentalista», di ormai riconosciuta origine ideologica. Alla tragedia di queste vittime, si accompagnò quella degli scampati alla persecuzione che in 350.000 abbandonarono le proprie case, i propri beni, le proprie radici, gli odori, i sapori, i suoni della terra in cui essi erano vissuti e cresciuti, per trovare rifugio nella nostra Penisola. Purtroppo, la disinformazione e le contrapposizioni ideologiche allora accesissime fecero sì che essi fossero accolti in Patria come dei criminali reazionari, fuggiti in odio al comunismo, e tutt'altro che bene accetti. Voglio ricordare che a Venezia, Milano e Bologna il Partito comunista organizzò massicce manifestazioni contro l'arrivo degli esuli, convogliando attivisti che si produssero in urla, fischi e minacce contro coloro che la propaganda di partito indicava come fascisti. Dopo quasi cinquant'anni di assoluto silenzio su questi tragici fatti, accompagnato dal tentativo di manipolare la natura di quanto accaduto, spacciandolo per un mero episodio di conflitto di etnie, o inserito come una pagina della più ampia guerra civile europea, nel tentativo di ridimensionare le chiare responsabilità del regime comunista jugoslavo nelle stragi e nella violentissima campagna di odio etnico che ne seguì, la ricerca storica ha definitivamente squarciato il velo di omertà su questa terribile vicenda, non dissimile dalle altre immani tragedie di quel periodo, avviando un processo di revisione critica che ha coinvolto, ovviamente, anche la politica, che ha finalmente riconosciuto di aver svolto in questa circostanza un ruolo improprio per una società democratica, ed anzi, direi, nefasto e grave: quello, cioè, di aver usato le verità che emergevano faticosamente dai documenti e dalle attente ricostruzioni degli studiosi più avveduti e liberi nel modo più conveniente alla lotta politica. Vale a dire che i principi ideologici sono stati preferiti alla verità dei fatti così come le testimonianze dirette ed i ritrovamenti dei poveri resti mortali andavano avvalorando. Esuli, perseguitati, senza più una casa, questi nostri connazionali si sono trovati a sperimentare la diffidenza, e finanche l'ostilità, di altri italiani, vittime di una sorta di «pulizia storiografica», che aveva fatto tabula rasa di queste stragi a partire dai libri di scuola, fino ad arrivare alle celebrazioni ufficiali ed istituzionali. Gli esuli istriano-dalmati hanno così fatto esperienza diretta di quanto scriveva Albert Camus nel libro «La peste», e cioè che «la profonda sofferenza di tutti i prigionieri e di tutti gli esuli è vivere con una memoria che non serve a nulla». L'enorme tragedia vissuta dagli italiani dell'Istria e della Dalmazia conferma che la verità apertamente e convintamente proclamata e difesa, nonché la costante memoria di essa devono costituire fondamenta imprescindibili per un'armoniosa, pacifica, rispettosa convivenza tra i popoli, ancor più necessaria laddove, come in questo caso, si tratta di costruire un'Europa unita e solidale, a favore della quale non sono certamente sufficienti gli accordi politici ed economici. Ad essi bisogna aggiungere idee, progetti comuni, sogni, ambizioni e soprattutto valori condivisi, autentica ed indispensabile fonte a cui attingere se si vuole realizzare sul serio questo ambizioso disegno. Dispiace, dunque, apprendere che la Giunta capitolina sarebbe in procinto di dimezzare i fondi disponibili per i viaggi ai campi di concentramento nazisti, e di cancellare completamente quelli in Istria e Dalmazia, abrogando, di fatto, la celebrazione della Giornata del Ricordo, istituita nel 2004 da un Parlamento pressoché unanime. Speriamo che la notizia non sia fondata, poiché, seppur possono comprendersi le ragioni circa le note ristrettezze del bilancio comunale, non può condividersi il fatto che a subirne le conseguenze siano anche ricorrenze come queste, che riguardano la nostra identità storica, e che sono un forte monito per le generazioni future.
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