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Orlandi, quei "riscontri inquietanti" e tutti i dubbi del pm nella lettera ignorata

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Rita Cavallaro
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Una lettera riservata di un magistrato, con i motivi per i quali non avrebbe firmato la richiesta di archiviazione su Emanuela Orlandi, accende i fari su un personaggio controverso, che si era autoaccusato di aver rapito la cittadina vaticana, svanita nel nulla il 22 giugno 1983. E fu bollato come un mitomane. Il fulcro di quella comunicazione, inviata all’allora procuratore capo Giuseppe Pignatone dall’aggiunto Giancarlo Capaldo, è Marco Accetti. La missiva è stata depositata nei giorni scorsi alla Procura di Roma dall’avvocato di Accetti, Giancarlo Germani. Perché quella lettera rappresenta un tassello importante, alla luce della perizia fonica, svelata dal giornalista Fabrizio Peronaci sul Corriere della Sera, che dimostra come la voce di Accetti e quella dell’Americano che telefonò a casa della famiglia Orlandi il 5 luglio 1983, coincidano. Insomma, Accetti e l’Americano sarebbero la stessa persona. Assumono così contorni di rilevanza investigativa le rimostranze che il pm Capaldo, il 17 aprile 2015, fece al suo capo Pignatone per motivare il rifiuto a firmare l’archiviazione. «Non si dà esattamente conto degli elementi indiziari emersi e, soprattutto, non si ritiene di poter effettuare ulteriori approfondimenti alla ricerca della verità», scrisse.

 

 

Ripercorrendo tutte le criticità del caso, che va avanti, tra colpi di scena e depistaggi, da quarant'anni. Da quel 22 giugno 1983, quando Emanuela uscì di casa, con il flauto, per andare a lezione di musica e non fece più ritorno. Da allora si sono rincorse misteriose piste: dai servizi segreti alla Banda della Magliana, passando dai soldi dello Ior alla pedofilia negli ambienti ecclesiastici. E quando il 27 marzo 2013 il fotografo Accetti, rimasto in silenzio per trent’anni, confessò di aver partecipato al sequestro della figlia del messo pontificio, la sua storia fu presa con le pinze. Il reo confesso disse al pm Capaldo di aver adescato Emanuela per conto di un gruppo di «committenti», laici ed ecclesiastici, che volevano contrastare la politica anticomunista di papa Wojtyla. Poco dopo fu iscritto nel registro degli indagati, nell’ambito dell’inchiesta riaperta nel 2008, in cui erano coinvolti anche Sabrina Minardi, amante del boss della Banda, Renatino De Pedis, e don Pietro Vergari, rettore di Sant’Apollinare, la basilica dove era stato sepolto il boss, la cui tomba fu aperta dopo che una gola profonda aveva rivelato che nel sepolcro fosse tumulato pure il corpo di Emanuela. Ma in quella bara non c’era nulla e la Procura archiviò l’inchiesta, che Capaldo direzionava invece verso Accetti. L’aggiunto argomentava a Pignatone di non essere d’accordo con la pm Simona Maisto sul fatto che le dichiarazioni del fotografo «costituiscono una sceneggiata fantasiosa».

 

 

Sottolinea come Accetti fosse a conoscenza di particolari sconosciuti all’epoca perfino agli inquirenti, tra cui il fatto che Emanuela «al momento del sequestro aveva le mestruazioni». E precisa che nell’archiviazione non si tengono in considerazione «inquietanti riscontri» alle dichiarazioni di Accetti sulla Orlandi e su Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio 1983. Tra questi «che l’Accetti si è autoaccusato del sequestro delle due ragazze», che abitava «a un centinaio di metri di distanza dal bar della Gregori», che «chi ha telefonato al bar e ha descritto dettagliatamente i vestiti indossati dalla Gregori al momento della scomparsa era coinvolto nel sequestro», che una perizia fonica «sottolinea una compatibilità tra la voce del telefonista e quella dell'Accetti», che il fotografo «ha consegnato un flauto sostenendo essere quello dell’Orlandi» e che lo strumento è stato riconosciuto dalla famiglia «come assolutamente identico a quello di Emanuela". Il fotografo aveva a casa anche il flauto dolce della ragazza. Capaldo ricordava come "alcuni comunicati», tra cui quello delle richieste di scambiare Emanuela con l’attentatore del Papa, Alì Agca, «provengono della città di Boston, negli Usa, ove, in quell’epoca, si trovava Cecconi Eleonora, l’allora moglie dell'Accetti». Indizi rilevanti, soprattutto alla luce della nuova perizia sull’Americano, il quale, all’allora segretario di Stato Agostino Casaroli, aveva consegnatolo spartito della Orlandi per dimostrare la veridicità delle informazioni sul sequestro. Così come Accetti consegnò il flauto ai pm.

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