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Israele, lezione sui "crimini": negli atenei la propaganda entra in classe

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Iuri Maria Prado
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Oggi e domani, rispettivamente alla Sapienza di Roma e all’Università di Napoli L’Orientale, si terrà un convegno «interateneo» dedicato al «genocidio» di Gaza, all’«apartheid» e al «Colonialismo in Palestina». Un convegno che non nasconde - com’è giusto - il proprio profilo sostanzialmente propagandistico, naturalmente in favore della rappresentazione corrente che descrive Israele come la realtà segregazionista e massacratrice che, il 7 ottobre dell’anno scorso, ha avuto l’improntitudine di non accettare di buona grazia lo sterminio di milleduecento connazionali e il rapimento di alcune centinaia tra uomini, donne e bambini portati nei tunnel costruiti con i soldi della cooperazione internazionale. Il fatto che quel convegno possa tenersi senza problemi di sicurezza e senza minacce per l’ordine pubblico deve essere registrato con soddisfazione. Non è stato così per quello che era in programma giorni fa alla Statale di Milano, annullato dal Magnifico Rettore giacché ricordare gli eccidi del 7 ottobre avrebbe messo in difficoltà l’ateneo milanese, abituato a una musica diversa e cioè agli inni pro Hamas degli studenti che fanno campeggio nei chiostri bardati di kefiah.

 

 

Abbiamo ormai accettato che le squadracce pacifiste impediscano ai giornalisti ebrei di parlare nelle università. Abbiamo accettato che un rettore piemontese intimi ai direttori di dipartimento di compilare le liste con i nomi delle società israeliane da depennare dalle collaborazioni universitarie. Abbiamo accettato che nelle scuole italiane siano impartiti temi di studio «sulla pulizia etnica in corso da 75 anni in Palestina»: magari, come nel caso di un liceo romano, con lo studente israelita indicato con nome e cognome nel registro scolastico che ne registra «il punto di vista» incongruo rispetto a quello della classe «democratica». In un clima simile, il convegno capitolin-partenopeo sulle malefatte dell’Entità Sionista è perfettamente armonico, e appunto è cosa molto buona che possa tenersi liberamente e in tranquillità. Magari gli organizzatori e gli oratori potrebbero riflettere sul privilegio di cui godono nel poter volantinare senza timori le rivendicazioni della «resistenza» palestinese, un privilegio che nella Repubblica democratica fondata sull’antifascismo è invece proibito a chi non è disposto a giurare che Israele è una specie di Quarto Reich e che la Stella di David è la nuova svastica.

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