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Corvi vaticani, la banca slovena e la manina del solito finanziere

Rita Cavallaro
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Se fosse un nuovo romanzo di Dan Brown, il «Codice Vatileaks» inizierebbe in una stanza segreta, con i Corvi del Vaticano che tramano per far cadere il Papa Gesuita sotto i colpi dello scandalo dei soldi per i poveri usati per fare affari milionari. E farebbe i nomi dei porporati in grado di far ricorso a un gruppo di spioni, al fine di trovare le tracce del business «di dubbia eticità», da dare in pasto ai giornali e aprire così la congiura nella Chiesa. Nella realtà, però, i nomi dei mandanti non ci sono, tanto che il Vaticano ha dovuto aprire un fascicolo per indagare sul dossieraggio dell’ufficio del gruppo Sos dell’Antimafia, apparso agli occhi dei magistrati della Santa Sede come un'attività di spionaggio. Il promotore di giustizia, Alessandro Diddi, sta coordinando l’inchiesta che corre parallela al fascicolo di Perugia sugli accessi abusivi alle banche dati messi a segno dal tenente Pasquale Striano e dal pm Antonio Laudati, in concorso con i giornalisti di Domani. Tra cui proprio quelli che, il primo ottobre 2019, avevano pubblicato su L’Espresso lo scandalo della trattativa per l'acquisto del palazzo di Londra portata avanti dalla Segreteria di Stato, che ha poi portato al processo al cardinale Angelo Becciu.

 

 

Confrontando oggi gli atti del fascicolo spioni con i documenti del caso Becciu, alcuni indizi incredibili potrebbero portare la firma dei mandanti e svelare i nomi di chi, all’epoca, può aver tirato le fila di una storia capace di minare l'azione riformatrice di Papa Francesco, impegnato in una battaglia morale, una sorta di repulisti, per innalzare l'immagine della Chiesa. L’indizio in grado di svelare il mistero sullo spionaggio ai danni degli inquirenti vaticani è contenuto in un documento che il promotore Diddi, che all’epoca stava effettuando gli accertamenti sui protagonisti della trattativa riguardante l'acquisto del palazzo di Londra, invia a istituti di credito sloveni. Si tratta di un decreto di sequestro, datato 20 marzo 2020, con il quale il magistrato dello Stato Pontificio ordina a due banche di Lubiana, la Unicredit Bank Slovenia DD e la Dezelna Banka Slovene DD, di mettere i sigilli a due conti correnti, intestati alla società Logsic O.O. «In data odierna questo Ufficio ha ricevuto una comunicazione urgente proveniente dalla Nunziatura Apostolica in Slovenia con la quale viene rappresentato che la polizia criminale slovena, sezione criminale finanziaria, ha segnalato una operazione sospetta che sembrerebbe effettuata in danno alla Segreteria di Stato», si legge nel decreto, in cui viene sottolineato che sui quei conti sono passate in più tranche somme di denaro per un ammontare di 500mila euro e che, secondo la polizia, potrebbero essere «proventi del crimine», tanto che «questo Ufficio ha immediatamente attivato il Corpo della Gendarmeria Vaticana per avere informazioni più dettagliate sul destinatario della citata somma» e che «con nota ricevuta in data odierna, ha accertato che la citata società farebbe capo ad una cittadina italiana, tale Cecilia Marogna», scrive Diddi.

La stessa Cecilia Marogna che, proprio quel giorno, era stata oggetto di accesso abusivo alle banche dati da parte del tenente Striano. E sempre Striano aveva effettuato i controlli illeciti su tutti i principali protagonisti della trattativa di Londra: sul proprietario del palazzo, l’imprenditore Raffaele Mincione il 22 luglio 2019, il 25 e il 28 ottobre 2019. Sul broker di Larino Gianluigi Torzi, proprietario della società lussemburghese Gutt.Sa che avrebbe acquistato l’immobile, il 25 luglio, mentre su Fabrizio Tirabassi, minutante dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e tra i principali accusatori del cardinale Angelo Becciu, le intrusioni illecite avvengono il 22 luglio, il 30 e il 20 agosto 2019.

 

 

Lo scandalo, con la pubblicazione dell’accordo di vendita tra la Segreteria di Stato e la Gutt.Sa viene pubblicato il primo ottobre e dà il via alle indagini del Vaticano. Che trovano la chiave di volta proprio il 20 marzo 2020, quando Striano accede abusivamente ai dati di Lady Vaticano e la magistratura pontificia emette il decreto di sequestro dei conti della Marogna. Una coincidenza di date alquanto insolita, tanto più che dagli atti emerge un cortocircuito. Perché il giorno prima, il 19 marzo, la Nunziatura Apostolica slovena aveva comunicato di una segnalazione ricevuta dalla polizia circa un’operazione sospetta dallo Ior, che aveva fissato la comunicazione dei dati bancari del beneficiario entro le 12 del giorno seguente. Scadenza che l’istituto non sarebbe stato in grado di rispettare. All’indomani le ricerche di Striano e l'individuazione della Gendarmeria, riguardo al nominativo di Marogna quale titolare della società con sede in Slovenia, coincidono. Quello che però non è agli atti del fascicolo vaticano è proprio l’origine degli accertamenti dell’autorità antiriciclaggio: non c’è traccia della segnalazione per l’operazione sospetta imputata nel processo. Chi ha comunicato, dunque, l’arrivo dei bonifici "incriminati" sui rapporti bancari?

 

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