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Dossier, Laudati scarica su De Raho: "Ero sotto il suo controllo". Grana per Conte

Rita Cavallaro ed Edoardo Sirignano
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 Si era indignato quando l’esposto del ministro della Difesa Guido Crosetto aveva surriscaldato il clima agostano con l’ombra del dossieraggio. E aveva sfidato le resistenze sulla sua partecipazione delle scorse settimane all’audizione di Giovanni Melillo e Raffaele Cantone a Palazzo San Macuto. Ora, però, l’ex capo della Direzione nazionale Antimafia e deputato dei 5 Stelle, Federico Cafiero De Raho, sembra aver perso quell’animo battagliero e ha preferito il silenzio, di fronte ai nuovi scenari che emergono dalle ammissioni dei protagonisti dell'inchiesta di Perugia. Prima quelle di Pasquale Striano, il luogotenente della Finanza accusato della miriade di accessi illegali alle banche dati e alla cessione di documenti riservati alla stampa, il quale sostiene come l’attività gli fosse stata ordinata dai suoi superiori di via Giulia. E adesso anche del pm Antonio Laudati, che ieri avrebbe dovuto presentarsi per l’interrogatorio davanti al procuratore Raffaele Cantone, ma che ha disertato la convocazione. Laudati, però, ha fatto di più che avvalersi della facoltà di non rispondere. Ha messo nero su bianco, in una nota condivisa con l’avvocato Andrea Castaldo, le sue ragioni e "cristallizzato" la sua verità, ovvero che tutto il lavoro era sotto il controllo di De Raho, tanto che gli atti d'impulso delle indagini erano firmati dal capo.

 

«È in atto un ampio dibattito, su tutti i media nazionali, in cui mi vengono attribuiti fatti gravissimi (e sicuramente diffamatori) che risultano completamente differenti dalle contestazioni indicate nell'invito a comparire, notificatomi in data 26 febbraio 2023, soprattutto diversi dalla realtà che conosco», ha scritto il pm, che poi passa a smentire categoricamente i punti cruciali dell'inchiesta. Numero 1: «Non ho mai effettuato accessi ai sistemi informatici». Una questione incontrovertibile, visto che le migliaia di intromissioni illecite contestate nei capi d'accusa sono tutte riconducibili alla chiave d'accesso di Striano. Secondo punto: «Non ho mai avuto alcun rapporto, neppure di conoscenza, con i giornalisti che risultano indagati». E anche su questo aspetto, negli atti dell’indagine, non ci sono mai scambi di documenti tra Laudati e i cronisti che poi pubblicavano le esclusive contro i politici di centrodestra, mentre sono certificati centinaia di invii di dossier tra Striano e gli amici di Domani.

 

E numero 3: «Non ho mai costruito dossier per spiare o ricattare politici o personaggi famosi». Poi il riferimento a De Raho: «Mi sono limitato a delegare al gruppo Sos della Dna approfondimenti investigativi, in piena conformità alle leggi, alle disposizioni di servizio e sotto il pieno controllo del procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo». Che, all’epoca della presunta attività di dossieraggio, era proprio il deputato pentastellato.

E questo fa scoppiare una grana non di poco conto per Conte. Una frangia di M5S vuole chiarezza sui dossier su esponenti di governo e del centrodestra, ma anche su diverse amministrazioni guidate dal M5S, in primis quella del Campidoglio. Proprio intorno all’ex sindaca Raggi, infatti, starebbe nascendo una corrente tesa a osteggiare quella società civile, voluta dall’ex premier e da tempo malvista dai Meetup. L’obiettivo è contrapporsi, in modo netto, all’area che ha portato in Parlamento i magistrati Cafiero De Raho e Scarpinato. Una rivolta, secondo i rumors, alimentata dallo stesso fondatore Grillo, che avrebbe riferito ai fedelissimi: «Perché dobbiamo difendere chi non ci ha tutelato nelle difficoltà?». Ragione per cui Conte corre ai ripari prova a spaccare il fronte vicino al comico. La prima mossa è promettere a Roberto Fico, che aveva chiesto luce sui dossier, l’eredità di De Luca in Campania. La seconda, invece, è bloccare l’intesa in Piemonte con quei dem tanto ostili all’Appendino, pupilla di Beppe.

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