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Dossieraggio, spunta anche la pista che porta in Vaticano e al palazzo di Londra

Rita Cavallaro

C'è una nuova pista nell'inchiesta di Perugia che non riguarda più soltanto Palazzo Chigi né le spiate alla Lega, vittima di centinaia di accessi abusivi al sistema analisti di Striano&Co. Ora l'attenzione dei magistrati si sposta Oltretevere, all'ombra di quel Cupolone che nasconde secoli di segreti. Quella San Pietro inondata da scoop e da scandali che, alla luce degli elementi agli atti dell'indagine, parlano. E raccontano un’altra storia. Una trama che sembra venire da altrove, dall'ufficio del finanziere Pasquale Striano alla Direzione nazionale Antimafia, la cabina di regia contro il crimine diventata un colabrodo, trasformata, secondo gli inquirenti, in una fabbrica dei dossier che l'ufficiale e il pm Antonio Laudati condividevano con i giornalisti del Domani. La datazione degli accessi illegali al sistema analisti dell'Antimafia, con la raccolta infedele di Striano e l’invio di atti segreti già dalla fine del 2018 alla stampa, incuriosisce gli investigatori perché allarga il raggio d’azione di Striano a un arco temporale che attraversa governi in cui il Pd c’era, ma non i loro nomi. Tra le migliaia di persone spiate, degli esponenti dem non c'è alcuna traccia negli atti. Il sospetto, quindi, è che il mandante cercasse sempre nella stessa direzione, per costruire un attacco sistematico al centrodestra. I «voyeurs» informatici, comunque, non si erano fermati solo a Palazzo Chigi, ma avevano accesso i riflettori anche nel luogo che ormai da secoli si presta agli intrighi più misteriosi, ai complotti della Cristianità che animano le pagine di Dan Brown e si scontrano con millenni di castità dell'informazione, in un buco nero che inghiotte la verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, i soldi dello Ior, i corvi e le colombe. Di scandali, che mai scalfiranno l'impero costruito da Pietro, il Vaticano ne ha visti fin troppi. Ma quello che oggi si legge nelle carte è che su uno di questi, la manina di Striano è intervenuta in più occasioni.

 

 

 

I fari investigativi sono puntati sulla vicenda dei fondi vaticani e sulle operazioni finanziarie milionarie culminate nell’affare di acquisto del palazzo di Londra. Il Primo ottobre 2019, L'Espresso aveva lanciato la bomba, con un articolo del giornalista Emiliano Fittipaldi che raccontava di approfondimenti della magistratura vaticana sulla trattativa che, negli ultimi otto anni, avevano triangolato Roma, Londra e Bruxelles nel business immobiliare «di dubbia eticità» per l'acquisto di uno stabile da 17mila metri quadrati nella capitale inglese, al costo di 200 milioni di dollari. «Proprio nel Granducato, tra il 2011 e il 2012 la Segreteria di Stato (erano i tempi di Benedetto XVI, a Palazzo Apostolico comandavano Tarcisio Bertone e l’allora sostituto agli Affari generali Becciu) aveva infatti deciso di fare affari con Raffaele Mincione», si legge nell’articolo, corredato dal documento segretissimo della trattativa riservata tra la Segreteria di Stato vaticana e l’imprenditore italo-londinese, che in quel momento tentava la scalata alla banca Carige. Su quelle inchieste, che gettavano ombre su circa 650 milioni di fondi extrabilancio dell’Obolo di San Pietro, destinati ai poveri e invece impiegati per fare affari, e che sfociarono, tra l'altro, nel processo al cardinale Angelo Becciu, il giornalista, già imputato ma assolto nel caso Vatileaks, fu ascoltato come teste davanti al tribunale della Santa Sede, proprio in relazione alla sua esclusiva. E ai giudici del Papa il cronista disse che «il contratto me lo diede il dottor Massimo Massinelli, un collaboratore di Mincione», specificando che il documento lo aveva avuto in formato digitale e producendo come prova lo screenshot dei messaggi.

 

 

Ora, dagli atti, emerge che prima dell’uscita dell’articolo, Striano aveva cercato illecitamente nelle banche dati analisti dell’Antimafia, dove sono contenute segnalazioni di operazioni sospette e altre informazioni finanziarie, i nominativi dei principali protagonisti della vicenda. Sul finanziere Raffaele Mincione il tenente spione aveva effettuato tre accessi abusivi, uno il 22 luglio 2019, l'altro il 25 e l’ultimo il 28 ottobre, a pochi giorni dalla pubblicazione dello scoop giornalistico. Sempre il 25 luglio, Striano aveva verificato pure la posizione di Gianluigi Torzi, il broker di Larino la cui società con sede in Lussemburgo, la Gutt Sa, sarebbe stata usata come intestataria fittizia nella trattativa di acquisto, una sorta di schermo dietro cui si sarebbe nascosta la Segreteria di Stato vaticana per portare avanti l'affare in gran segreto. Torzi è stato ancora oggetto di spiate anche l'anno dopo, il 15 giugno 2020 e il 28 settembre 2020. E ancora tre accessi su Fabrizio Tirabassi, minutante dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e sospeso a scandalo deflagrato: il 22 luglio 2019, il 30 e il 20 agosto. Sempre nel luglio caldo del 2019, il tenente aveva verificato le posizioni di altri monsignori e religiosi. Fino a direzionare, il 20 marzo 2020, le ultime spiate vaticane su Cecilia Marogna, la dama del cardinale Becciu arrestata il 13 ottobre nell'inchiesta sull'ex numero 2 della Segreteria di Stato della Santa Sede.