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Donne islamiche al mare con il burkini, la moda che piace alla sinistra

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Christian Campigli
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Essere costrette ad entrare in mare vestite è l’ennesima dimostrazione che, nella cultura musulmana, i diritti della donna hanno uno scarso valore o è, al contrario, la sintesi perfetta del connubio tra libertà e tradizione? Il dibattito sul burkini sta accendendo la politica italiana. Dividendo destra e sinistra. Infiammando i social network e creando un aspro dibattito nella società civile.

La polemica non è nuova, ma in questi giorni a cavallo di Ferragosto è stata riaccesa da alcuni episodi accaduti in Friuli. A Trieste e Montefalcone sono stati numerosi i cittadini che hanno chiesto ai propri sindaci di intervenire. In nome del decoro pubblico. Anna Cisint, primo cittadino leghista del centro portuale in provincia di Gorizia, ha reso noto una lettera. Indirizzata alla comunità musulmana. «Chi viene da diverse dalla nostra ha l’obbligo di rispettare le regole e i costumi che vigono nel contesto italiano e locale. Non possono essere accettate forme di islamizzazione del nostro territorio, che estendono pratiche di dubbia valenza dal punto di vista del decoro e dell’igiene, generando il capovolgimento di ogni regola di convivenza sociale». Un episodio analogo si è verificato anche a Trieste, al Pedocin, lo storico lido che dal 1903 prevede la separazione, in spiaggia, tra uomini e donne. Nello stabilimento più famoso della città c’è stato un vero e proprio scontro tra un gruppo di donne italiane e musulmane, perché queste ultime volevano entrare in acqua vestite.

Prevedibile come il sole di luglio o la neve di dicembre, è giunta la sdegnata presa di posizione di un’associazione di sinistra. Nello specifico, Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics (Consorzio Italiano di Solidarietà Ufficio Rifugiati Onlus) ha detto che «non è possibile imporre alcuna limitazione all’abbigliamento per motivi religiosi in base all’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo». Sulla stessa linea anche l’associazione Dasi (diritti accoglienza solidarietà internazionale). «Gli insulti per il bagno in burkini non solo sono inaccettabili, ma anche perseguibili sul piano penale». Ovviamente, anche la politica istituzionale si è schierata. La sinistra, come da copione, ha difeso i musulmani. «Ognuno è libero di fare il bagno come ritiene giusto», ha sottolineato il consigliere regionale del Friuli di Open -Sinistra Furio Honsell. Il capogruppo del Pd in consiglio regionale, Diego Moretti, si è rivolto direttamente al sindaco Anna Cisint. «Basta chiacchiere e basta ai deliri di onnipotenza che non risolvono in alcun modo i problemi, ma esasperano le situazioni».

Ma la vicenda burkini non è esclusiva friulana. All’inizio di luglio, in una piscina di Limbiate, piccolo centro in provincia di Monza, era stata organizzata una festa di donne musulmane. Rigorosamente vestite. Un’iniziativa poi annullata, dopo che l’eurodeputata leghista Isabella Tovaglieri aveva parlato di «segregazione femminile». Matteo Salvini, da molti anni, ha puntato il dito contro «il simbolo della violenza sulle donne». Il leader del Carroccio ha chiesto più volte ai sindaci di vietarlo. Non va infine dimenticato che domenica mattina si svolgerà una manifestazione dal titolo «Bagno in solidarietà con le donne musulmane. Andiamo tutte in acqua vestite». Un flash mob partito dai social, attraverso il quale si chiede alle donne italiane di esporsi «per il rispetto, la libertà e la fratellanza tra i popoli».

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