agricoltura a pezzi

Il presidente di Coldiretti Prandini: "Il governo può fare molto di più sui rincari". La grave situazione

Alessio Buzzelli

«Il fatto che il Governo abbia accettato le misure contenute nel piano di Coldiretti è sicuramente un segnale positivo, in grado di dare un po' di respiro ad un settore in grave debito d'ossigeno come quello dell'agricoltura italiana. Gli obiettivi cui puntare a lungo termine, però, devono essere ben altri, primo fra tutti quello della sovranità alimentare». Con queste parole il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha commentato il piano d'aiuti - previsto dal Governo all'interno del «Decreto Energia» - destinato alla filiera agroalimentare italiana, oggi in grave difficoltà a causa della crisi russo-ucraina, ma non solo.

Presidente Prandini, come giudica il pacchetto di aiuti approvato ieri dal Governo?
«È un primo provvedimento, senz' altro positivo, che può aiutare in diversi modi un settore in sofferenza come quello dell'agricoltura, il quale oggi si trova ad affrontare 8 miliardi di costi aggiuntivi tra mangimi, concimi, energia. La situazione però è molto fluida e in continua evoluzione: dovessero peggiorare le cose, ovviamente si renderà necessario intervenire ulteriormente».

Quali sono secondo lei i punti più importanti contenuti nel decreto?
«Ce ne sono diversi. Per inquadrare bene la situazione, però, bisogna partire da alcuni, impietosi dati. Dall'inizio del conflitto si è verificato un balzo medio di almeno un terzo dei costi di produzione dell'agricoltura a causa del caro energia, con valori record per alcuni prodotti: +170% dei concimi, +80% dell'energia e +50% dei mangimi. Alla luce di questo, alcuni degli interventi previsti dal Governo risultano dunque fondamentali, come quello dell'istituzione di mutui a 25 anni con garanzia gratuita Ismea, del credito di imposta del 20% per la riduzione del costo del gasolio e lo stanziamento di 35 milioni destinati filiere in crisi. Infine, cosa importantissima, va sottolineato il via libera ai fertilizzanti naturali, come il digestato, unica soluzione per sostituire quelli chimici, prodotti principalmente in Russia ed Ucraina. Poter usare il digesato ci permette di continuare a produrre in maniera continuativa, e questo è vitale per l'agricoltura del nostro Paese, ancora purtroppo vittima di una strutturale insufficienza produttiva».

 

 

A cosa è dovuta questa insufficienza produttiva?
«Sicuramente una prima ragione può essere rintracciata nelle dinamiche proprie della globalizzazione, dinamiche che negli ultimi 20 anni hanno spinto molto la delocalizzazione delle produzioni. In secondo luogo, ci sono i problemi legati ai meccanismi congegnati dell'Ue, i quali paradossalmente in certi casi incentivano - anche economicamente - la non coltivazione del suolo piuttosto che la produzione su tutte le superfici coltivabili. Infine, c'è la questione della mancata valorizzazione delle aree interne, ampiamente sottoutilizzate. Se agissimo contestualmente su tutte queste situazioni, potremmo recuperare più di un milione di ettari da coltivare...».

Per il momento, però, l'Ue ha concesso all'Italia di ampliare la coltivazione di soli 200mila ettari.
«Questa "concessione", se da una parte ci trova d'accordo, dall'altra tradisce, ancora una volta, la tendenza ad una sostanziale inazione da parte dell'Ue. Mi spiego: perle nuove colture è stato stanziato in totale un miliardo di euro da ripartire per 27 Stati membri, di cui all'Italia spetteranno appena 50 milioni. Cifre che non permettono di puntare nemmeno ad una parvenza di sovranità alimentare, che invece dovrebbe essere il vero obiettivo da raggiungere».

 

 

Quanti dei problemi di oggi sono dovuti alla guerra e quanti, invece, all'assenza di una strategia comunitaria a lungo termine?
«L'attuale crisi bellica è solo una piccola parte del problema. Le criticità di oggi hanno radici profonde, a partire dalla mancanza di consapevolezza sul fatto che il cibo è qualcosa di profondamente sociale, non solo economico: sei cittadini non hanno da mangiare, come la storia ci insegna, può accadere di tutto. Ecco perché la sovranità alimentare dovrebbe essere un obiettivo da perseguire sempre, a prescindere dal contesto contingente».