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Con reputazione e talento si può cambiare il mondo

L'ultimo libro dei comunicatori Comin e Giansante su come valorizzare il proprio brand personale

Alberto Di Majo
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Non hai letto ancora la metà del libro che ti assale un dubbio: e se anche io potessi cambiare in un colpo solo me stesso e il mondo? Non tutti avranno la forza e l’ottimismo di vedere nuove strade aprirsi di fronte a sé, eppure l’ultimo saggio di Gianluca Comin e Gianluca Giansante sulla reputazione personale ha l’effetto di un’iniezione di fiducia in un tempo piuttosto magro di speranze. Con «Tu puoi cambiare il mondo», edito da Marsilio, i due comunicatori-docenti alla Luiss mostrano che ognuno può raccontare la propria storia e diventare, come si dice nel marketing, un love brand. Basta «promuovere il talento e condividere il valore», recita il sottotitolo del testo in questi giorni in libreria.

Un’avvertenza è d’obbligo: i malati dell’ego, i pompati dei Social, i fissati dell’immagine fine a se stessa comprassero qualche altro manuale. Qui siamo agli antipodi della Bestia, tanto per capirci. Non è un caso che ancora prima del prologo Comin e Giansante riprendano Francesco d’Assisi: «È nel dare che riceviamo». Né che la prima figura che si incontra nel testo sia quella di una ragazzina che con determinazione e passione ha ingaggiato una battaglia per il clima che ha coinvolto tutto il mondo. Ecco, proprio Greta Thunberg è l’esempio della generosità e della gratuità di un impegno: era sola quando ha cominciato a scioperare. Non aveva bisogno di essere riconosciuta da un gruppo, di essere leader. Ha sposato un tema e il suo coraggio è diventato contagioso.

«Il suo esempio ci mostra che, come spesso accade, le migliori reputazioni personali nascono non quando si lavora alla propria autoproduzione ma quando si perseguono obiettivi più alti con generosità e coerenza», scrivono i due autori.

Succede per i marchi commerciali, allo stesso modo la reputazione personale fa la differenza. Dunque il proprio personal brand può essere decisivo nella società liquida e dell’informazione dove le connessioni sono illimitate. In un’epoca in cui la reputazione si impone solo come relazione, occuparsi del proprio brand diventa un guardare agli altri. «Siamo amministratori delegati della nostra azienda, la “Me Spa”. Per essere sul mercato oggi il lavoro più importante è essere capo del marketing del brand chiamato “Tu”».

Dall’autopromozione di Leonardo da Vinci verso il duca Ludovico il Moro, passando per le multinazionali che hanno saputo valorizzarsi seguendo battaglie o storie autentiche condivise (la Nike o la Patagonia anti-black friday), la regola è che «il pubblico non vuole connettersi con le aziende ma con le persone». La reputazione è un asset fondamentale del nuovo mondo del lavoro e offre un vantaggio competitivo. Ecco perché, insieme con la presenza online, il target giusto e l’autenticità, rappresenta un ponte verso gli altri. Parliamo di un tema che si specchia nella natura degli uomini: Winston Churchill sosteneva che «il problema del nostro tempo consiste nel fatto che gli uomini non vogliono essere utili ma importanti».

Così il libro diventa un vademecum per costruire la propria reputazione. Consiglia di puntare sulla qualità e non sulla quantità, cioè di non confondere il proprio obiettivo con la visibilità, di definire pubblico e posizionamento. Poi di elaborare una strategia su misura e avere sempre come bussola la generosità. «Di quali temi parliamo, quali invece evitiamo? Per aiutarci a decidere è utile ricordare che il personal branding non riguarda il vendersi, il vantarsi o la celebrità fine a se stessa. Significa, al contrario, aiutare il nostro pubblico di riferimento».

Su questa strada diventano fondamentali, accanto al lavoro, l’associazionismo, le attività private (la velocità o la gentilezza con cui rispondiamo alle email, ad esempio), la forza delle immagini e, soprattutto, convincersi che il silenzio è una straordinaria forma di comunicazione: non bisogna intervenire in modo costante ma selezionare gli argomenti. Il saggio si concentra anche sulla sfida del digitale dando spunti interessanti per la creazione di contenuti. Si sofferma sui linguaggi dei diversi social network e dà alcune «dritte» per rafforzare la propria presenza (si passa dalle foto e i video all’ascolto, ovvero da Youtube e Tik Tok ai Podcast).

Un capitolo si focalizza pure sul modo di ripulire la reputazione sul web. Un’altra parte del libro è destinata ai top manager, bandiere viventi delle aziende in cui lavorano, troppo spesso concentrati solo sugli azionisti e non sui dipendenti (sono questi ultimi i migliori influencer, non serve guardare ai testimonial più costosi).

Tra gli esempi da seguire, analizzati da Comin e Giansante, ci sono la regina Elisabetta II, Tim Cook, Elon Musk (nella foto), Papa Francesco, Bansky, Francesco Totti, Bebe Vio. Conclude il saggio un decalogo della reputazione personale e una selezione di letture per approfondire.

Un libro destinato anche agli studenti, che non smette di spronare tutti a tenere i piedi per terra. Un imperativo categorico per i comunicatori. Come ricordò lo scrittore David Foster Wallace nella storiella raccontata ai laureandi in Marketing di un’università americana: «Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?”. I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa “Che cavolo è l’acqua?”». Ecco, sarebbe bene non dimenticarlo.

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