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Le verità nascoste sul palazzo del Papa a Londra: la sacra inchiesta sullo scandalo Vaticano

Filippo Caleri
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Sono tanti i punti oscuri nell’acquisto dell’immobile di Londra, al numero 60 di Sloane Avenue, da parte del Vaticano. E dai documenti dell’inchiesta, che iI Tempo ha potuto consultare, le responsabilità attribuite dai promotori di giustizia della Santa Sede, tra i quali l’investitore Raffaele Mincione, non chiariscono le tesi accusatorie. Tanti restano gli interrogativi. Come la perdita dei 300 milioni che continua a gravare come accusa, mentre il palazzo è ancora nella piena proprietà del Papa, e non vale zero perché ha comunque un valore di mercato. O anche il ruolo della Gutt, la società lussemburghese incaricata dalla Segreteria di Stato di acquistare l’edificio londinese, e per questo «capitalizzata» dalle stesse autorità ecclesiastiche. O ancora la procura che consentiva ai cardinali di firmare atti in nome e per conto della Santa Sede, un’autorizzazione piena e senza limiti che riporta parte delle responsabilità in capo i prelati. Insomma una trama da spy story che inizia con le accuse rivolte dai promotori vaticani a Mincione e ai fondi di investimento dei quali è uno dei vari aministratori. Nel mirino il disinvestimento da parte del Vaticano dal Global Opportunities Fund di Athena (per semplicità il Gof)e l’acquisto dell’intera proprietà dell’edificio di Londra (di cui la Santa Sede era proprietaria fino a quel momento solo del 45%) attraverso la Gutt sa di Gianluigi Torzi.

L’accusa del Vaticano
A novembre 2018 la Segreteria di Stato vaticana interrompe i rapporti con Mincione perché, al 30 settembre 2018, le quote del Gof hanno realizzato delle perdite. La quotazione in quel momento è di 137 milioni di euro, 18 in meno rispetto all’investimento iniziale. I<ET>soldi, 155 milioni, sono stati affidati quattro anni prima. Il 55% finanzia l’acquisto dell’edificio di Sloane Avenue, la parte restante va in strumenti finanziari di società riferibili a Mincione, o nelle quali lo stesso aveva interessi personali. Le perdite legate agli andamenti di mercato motivano la chiusura dei rapporti con il gestore. Ma a quel punto il Vaticano non molla tutto. Vuole mantenere un unico asset in portafoglio: l’immobile. Che, nel bilancio chiuso il 31 dicembre 2017, vale 260 milioni di euro (228 milioni di sterline) ed è gravato da un mutuo ipotecario di 146 milioni di euro (128 milioni di sterline). Per il disinvestimento - sempre secondo le carte dell’accusa - la Segreteria di Stato effettua un bonifico di 40 milioni di sterline alla Wrm Capital Asset management. I soldi sono addebitati sul conto vaticano presso Credit Suisse e girati a favore dello studio legale del fondo, Herbert Smith Frehills.

Contestualmente la Santa Sede cede le quote del fondo Athena Gof azzerando la partecipazione. I pm del Cupolone considerano il versamento privo di fondamento giuridico e atto distrattivo.

Ed è il primo punto oscuro della vicenda. Già, perché i soldi che arrivano al fondo sono solo il corrispettivo per la cessione delle quote della società proprietaria dell’immobile londinese. E il passaggio non avviene direttamente alla Segreteria di Stato ma alla Gutt Sa, un intermediario appositamente individuato, e della quale il Vaticano ha acquistato, il 22 novembre 2018, quote di capitale. Un cambio di investimento voluto e deciso dal Cupolone che, per il promotore di giustizia vaticana, fa di Mincione il soggetto che ha tratto il maggior vantaggio dall’operazione di Londra.

In realtà il Vaticano ha speso in tutto 250 milioni di euro e si trova oggi con la proprietà di un immobile che ne vale, sulla carta, 260. Ma secondo l’accusa l’esborso è molto più alto: 360 milioni di euro. E a far lievitare il costo totale ci sarebbero le commissioni di gestione erogate a Mincione: 16 milioni di euro legate all’investimento nel fondo Athena dal 2013 al 2018 incassate da Wrm capital asset management (altra società del gruppo di Mincione). Nelle contestazioni ci sono anche le commissioni di 2 milioni per l’attività di advisor del mutuo di 128 milioni di sterline del finanziatore Cheyne stipulato sull’immobile. E non è finita. Secondo l’accusa, lo stesso finanziere italiano, avrebbe investito le somme del Vaticano in società a lui riferibili come la Time&Life che si occupava di investire in società nelle quali aveva interessi personali.
I soldi affidati sono usati per acquistare quote della Banca Popolare di Milano, Carige, Retelit o in strumenti finanziari illiquidi come Sierra Spv One srl, Alex atlas, Sorgente Sgr-Fondo Tiziano. Tutte operazioni che avrebbero generato perdite ingenti per la Santa Sede. La conclusione è perentoria. Per i pm vaticani le operazioni che avrebbero distratto i fondi sono state effettuate in complicità con funzionari della Segreteria di stato.

Il petrolio e il rischio
Mincione non è uno sconosciuto nelle stanze del Cupolone. I suoi consigli, negli anni precedenti al caso londinese, sono preziosi. Ad esempio tra ottobre e novembre 2012 la segreteria di Stato pensa di investire in una società in Angola, la Falcon Oil, che deve sviluppare un giacimento petrolifero. A presentare il business alla Wrm è il Credit Suisse che la considera operatore con il know how necessario per valutare l’opportunità. L’analisi produce una serie di criticità segnalate sia al Credit Suisse sia alla Segreteria di Stato. La verifica dei conti, nel 2013, evidenzia un forte indebitamento di Falcon Oil. Così dopo i risultati dell’analisi, comunicati tra marzo e maggio 2014, che sconsiglia l’impegno, la Segreteria accantona il progetto considerato rischioso per le finanze papali.
I soldi del Papa sono al sicuro.

In campo Credit Suisse
I fondi vanno verso lidi più sicuri. Come l’investimento in un fondo (il Gof) gestito da Athena riconducibile alla Wrm, nel cui board è presente anche Mincione. La Santa Sede attraverso le sue fiduciarie, Credit Suisse London e Citco, sottoscrive tra maggio 2013 e febbraio 2014 quote Gof per 147 milioni di euro. Gli investitori che materialmente mettono il cash sono i due soggetti finanziari e non la Segreteria di Stato che, formalmente, non figura nel registro del fondo. Sono due soggetti qualificati e a conoscenza dei profili di rischio assunti. Il 16 aprile 2015, la Citco trasferisce le sue quote Gof a Clearstream banking che a sua volta, il 30 novembre 2016, le rimette al Credit Suisse London.

L’Obolo di San Pietro
Il Credit Suisse in quel momento è il solo consulente dei soldi della Segreteria di Stato. La Wrm e, dunque Mincione, non trattando direttamente con il Vaticano ma con una sua fiduciaria, non è al corrente della destinazione vincolata dei soldi investiti. Solo in un secondo momento, e dalle pagine dei giornali, si scopre che le somme investite sono dell’Obolo di San Pietro, e cioè le offerte dei fedeli destinate a finanziare opere di bene. E non investimenti.(anche se è difficile immaginare che le grandi risorse possano restare liquide) Resta difficile però per chi riceve i soldi individuarne la provenienza se, a concederli, è una banca e non un prelato. E c’è la prova: una mail agli atti, datata 20 aprile 2015, spiega che il denaro investito dalla Segreteria di Stato deriva da due finanziamenti Lombard concessi da Credit Suisse e dalla Banca Svizzera italiana. Il Lombard è un finanziamento erogato a fronte di un pegno su azioni o altri titoli. Tradotto:<ET>i soldi girati alla Wrm non arrivano direttamente dalle casse di San Pietro ma da liquidità ottenuta su investimenti precedenti.

Si punta sul mattone
I 147 milioni di euro conferiti dalla Segreteria di Stato attraverso Credit Suisse London sono usati da Athena tramite il Gof per acquistare (indirettamente) il 45% dell’immobile londinese attraverso l’acquisizione di quote per 79 milioni di un altro fondo: il Ref (che lo ha nel suo portafoglio). Il residuo viene messo in strumenti finanziari e gli esiti della gestione sono comunicati con cadenza mensile e trimestrale.
È il 2014. I mercati corrono e il mattone londinese segna un incremento medio del 35% rispetto a due anni prima quando il palazzo era stato acquistato da Ref.

Gli investimenti finanziari
I documenti confermano, come sostenuto dalla giustizia vaticana, che una parte dei fondi è investita nelle obbligazioni emesse da Time&Life, holding che gestisce Wrm, e nella quale Mincione ha un ruolo di membro del consiglio di amministrazione. Un investimento totalmente ripagato sia nel capitale sia negli interessi. Non c’è perdita ma un rendimento del 3% all’anno. Non solo. Tutti gli attori sono a conoscenza delle operazioni e, né Credit Suisse, né Citco, né le alte sfere vaticane contestano mai le scelte di gestione. Lo stesso per gli investimenti in società quotate come Banca Popolare di Milano e Carige. Si tratta di scelte del fondo Gof compatibili con il suo regolamento operativo. L'unico appunto alla Wrm è che per alcuni titoli scelti i risultati non siano al tempo in linea con quanto ipotizzato. Si generano temporanee perdite su titoli che restano però in carico al fondo e che, alla fine, sono bilanciate dalla plusvalenza sull’immobile di Londra.

Il Framework Agreement
L’unico obbligo che ha la Wrm, e cioè il gestore e proprietario dei fondi Gof e Ref, è agire nel rispetto dei regolamenti sottoscritti dagli investitori. Che non contestano mai l’operato e anzi esprimono apprezzamento per i risultati. C’è la seconda prova: un documento visionato dal Tempo denominato «Framework Agreement» nel quale la Segreteria di Stato dichiara un incondizionato gradimento e soddisfazione per l’operato di tutti i gestori tra gli altri di Wrm, Gof, Ref e dello stesso Mincione. L’atto è siglato da Monsignor Alberto Perlasca, sulla base della procura conferita da Monsignor Edgar Pena Parra, nominato nel 2018 sostituto della sezione degli Affari generali della Segreteria di Stato. Una qualifica che gli dà pieni poteri di rappresentanza dell’Ufficio dell’Obolo di San Pietro. Tutto quello che viene fatto con le offerte dei fedeli, investimenti compresi, è cioè autorizzato da Pena Parra.

L’operazione che fa saltare il banco
Piena armonia dunque. Ma a un certo punto il Vaticano ritiene insoddisfacenti i risultati ottenuti. È un punto cruciale. Perché invece di chiudere tutti i rapporti, liquidare e portare a casa i soldi, decide di puntare all’acquisto dell’intera proprietà dell’immobile di Londra attraverso la Gutt sa. Una società lussemburghese che, a novembre del 2018 in nome e per conto della Segreteria di Stato, riceve il mandato per acquistare il restante 55% dell’immobile. È in quel momento che, con la consulenza di studi legali internazionali, dunque in piena trasparenza, tre soggetti: il fondo immobiliare Ref, la lussemburghese Gutt e la

Segreteria di Stato stipulano il Framework agreement che prevede la cessione da parte di Ref della sue quote alla Gutt. Questa tecnicamente acquista il 100% della 60SA2 (ultima scatola di una catena societaria controllata da Ref che ha in pancia il 55% dell’immobile) per un prezzo composto da una parte cash (45 milioni di euro) più il trasferimento a Wrm di tutte le quote Gof detenute dal Credit Suisse per conto del Vaticano. In sintesi il Vaticano si libera delle quote del fondo Gof, mette altro contante, e si prende il 100% del mattone. Una scelta vincente anche dal punto di vista fiscale. In Gran Bretagna la Santa Sede se ha una proprietà immobiliare al 100% è esentata dal pagamento imposte.

La vendita procede
Nella transazione viene indicato che la Gutt ha piena autorità perché qualificata per negoziare per conto del Vaticano. Non ci sono altri ostacoli perché chi acquista (Segreteria di Stato e Gutt) garantisce a Ref che il passaggio della quota dell’immobile è fatto senza violare alcuna legge, di essere in possesso di tutte le autorizzazioni per concludere il business, e di avere per la data di regolamento dell’operazione, il 29 novembre del 2018, fondi sufficienti e necessari per l’acquisto. È tutto scritto nel Framework Agreement che autorizza la chiusura, senza contenzioso, dei rapporti patrimoniali precedenti. sumultaneamente il Vaticano sottoscriveva un secondo atto con il quale acquistava 30mila azioni di Gutt per fornirle e la liquidità necessaria a perfezionare l’acquisto. Anche questo documento è supportato dalla procura di monsignor Pena Parra a monsignor Perlasca. Che, con la sua firma singola, autorizza poi la Gutt ad acquistare 45,5 milioni di azioni della 60Sa2 per ottenere, in questo modo, l’intera proprietà dell’immobile di Sloane Avenue. A dare certezza all’operazione c’è un terzo documento: la «Comfort letter» preparatodal <ET>Vaticano nel quale Perlasca garantisce che la Gutt ha piena autorità per concludere l’operazione perché capitalizzata ad hoc per concludere l’acquisto.

I dettagli operativi
Tutte le carte attestano la piena volontà della Santa Sede di concludere il business. Così il 3 dicembre 2018 viene siglato il «Sales and purchase agreement» tra Gutt e Ref per la vendita delle azioni di 60Sa2 e un contestuale «Transfer agreement» tra Gof, Segreteria di Stato e Gutt, che sposta le quote Gof in mano al Credit Suisse London a Ref per pagare parte del prezzo della cessione della 60Sa2. I pareri di studi legali lussemburghesi attestano che sia Ref (che ha in pancia l’immobile) sia Gutt (che compra per conto della Santa Sede) hanno pieni poteri per sottoscrivere i contratti. [TESTO-BASE]Le carte in questione chiariscono un altro punto oscuro: il presunto legame tra le società di Mincione e la Gutt dell’imprenditore molisano, Gianluigi Torzi. Non è il primo a chiamare in causa la società lussemburghese. La Comfort letter, firmata da Perlasca, conferma come la Gutt sia stata individuata come intermediario dalla sola Segreteria di Stato.

Il prezzo contestato
I 45,5 milioni di euro versati in contanti, e contestati dai pm del Vaticano, sono usati per comprare la società 60Sa2 e, indirettamente, l’intero l’immobile. La cifra arriva da valori ufficiali calcolati sull’attivo netto del bilancio del venditore: trattandosi di un asset conferito a una fondo, ogni anno viene valutato per determinare il valore sulle quote rappresentative dello stesso. Ebbene dall’ultima perizia disponibile, consegnata il 31 dicembre 2017 da Strutt e Parker (società immobiliare di Bnp Paribas Real estate Uk limited) il valore dell’immobile è di circa 310 milioni di euro.

Il risultato economico
A prescindere dall’esito processuale i dati economici dimostrano che la Santa Sede ha comunque fatto un buon investimento. Per l’immobile che è tuttora di sua proprietà ha sborsato 147 milioni di euro, tra il 2103 e il 2104 per acquisire, le quote di Gof (poi girate per pagare il prezzo per l’altro 55% dell’immobile) più 45 milioni in contanti nel dicembre 2018. Complessivamente 192 milioni di euro. In cambio ha ricevuto il 100% delle azioni della 60sa2 che, attraverso le controllate 60Sa e 60Sa1, gli ha assicurato la piena proprietà di Sloane Avenue.

Nella società acquisita ci sono passività legate a un mutuo di 139 milioni di euro e cassa per circa 7 milioni. Dunque l’esborso effettivo è pari ai 192 meno i sette, cioè 185, più l’accollo del mutuo che porta il prezzo totale teorico a 324 milioni di euro. C’è di più. Oggi l’immobile renderebbe in termini di canoni circa 15 milioni all’anno e, assumendo che il rendimento medio di mercato sia tra il 4 e il 5% all’anno, si può stimare un valore (tenendo conto di Brexit e del Covid) compreso tra i 311 e i 390 milioni di euro. A confermare che la forchetta di prezzo è reale è una lettera indirizzata alla Wrm Capinvest da uno dei primari fondi immobiliari inglesi, la Fenton Whelan. Una missiva che arriva alla Wrm l’11 maggio del 2020 e che, il 20 dello stesso mese, viene girata per conoscenza al Segretario di Stato, Pietro Parolin, e a Pena Parra. La società inglese dichiara l’intenzione di sviluppare un progetto sull’immobile che viene indicato avere un valore compreso tra 308 e 336 milioni di euro. Dunque i 324 spesi dal Vaticano, e contestati, sono in linea con i valori di mercato.

Il mancato affare
C’è un particolare. Il Vaticano avrebbe ottenuto un ulteriore plusvalore se non avesse lasciato scadere le autorizzazioni per ampliare e rinnovare l’immobile di Sloane Avenue. Le società proprietarie, Ref e 60Sa, dopo l’acquisto nel 2012 ottengono dalle autorità municipali le licenze per aumentare la cubatura e avviare una parziale trasformazione dell’immobile da commerciale a residenziale. L’autorizzazione è a termine e, dopo il passaggio dell’intera proprietà dell'edificio al Vaticano, viene lasciata scadere nonostante i solleciti della Wrm per segnalare il rischio di perdere guadagni. Il valore dell’autorizzazione, considerati i costi e le risorse impegnate, è stimato tra 45 e 67 milioni di euro. Se portata a compimento il valore dell’immobile sarebbe tra 600 e 700 milioni di euro.

La storia infinita
Oggi il processo è in itinere. Per agevolare il corso della giustizia Mincione ha offerto la sua collaborazione alle autorità vaticane concedendo volontariamente la visione di tutti i suoi conti bancari e quelli delle società collegate in base alle leggi svizzere. Apertura ignorata.

Solo dopo 14 mesi i pm hanno invece ottenuto la rogatoria. L’attesa inficia le attività di Mincione influenzate dalla reputazione non ristabilita.
Per accelerare la decisione Athena capital, Ref, Wrm e Mincione hanno instaurato un giudizio avanti alla High Court of Justice di Londra per ottenere una sentenza dichiarativa del riconoscimento dei diritti e degli obblighi di tutte la parti in base al Framework Agreement, al Transfer Agreement, alla Procura e alla Comfort Letter.

Il Vaticano è stato dunque chiamato davanti a un tribunale inglese a giustificare il suo operato. Tentativo vano perché il Cupolone tenta di opporre il difetto di giurisdizione. Uno Stato non può essere giudicato da un giudice di un altro Paese hanno spiegato i legali del Papa. Ma nell’attesa la verità langue. E intanto il palazzo continua a essere gestito per conto del Vaticano da Luciano Capaldo, che è stato socio in affari di Torzi.

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