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Se l'Italia "povera è tutta a fare la fila per il Black Friday

Franco Bechis
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Ieri mattina attraversando Roma con un tassista del 3570 (a proposito, auguri: compie 50 anni!), parlottavamo del reddito di cittadinanza e della povertà in Italia e sembrava grottesco, perché nel frattempo passavamo a fianco di negozi con i saldi del Black Friday e parecchia gente di ogni tipo ne usciva con buste rigonfie di acquisti. Il tassista di cui non ricordo il nome mi faceva notare che «la povertà è relativa», spiegandomi come la mamma avesse sì una pensione assai bassa, di poco superiore ai 500 euro mensili. Ma la signora vive in un paesino di Abruzzo e con quei soldi conduce «una vita dignitosa, regalando pure ai nipoti 100 euro per Natale». Il tassista che è un osservatore acuto della realtà rifletteva anche sui beni di prima necessità che ogni famiglia anche povera ritiene di dovere avere: «Vede, venti anni fa se avessi definito povera una famiglia che aveva due o tre telefonini, mi avrebbero scambiato per matto. Oggi invece anche i migranti che vedi sbarcare dai gommoni e che raccontano in fuga dalla miseria dell'Africa ne hanno sempre uno con sè». E ha aggiunto scherzando: «L'Italia è il paese a più alta densità di telefonini al mondo. Gli uomini bisogna sempre che ne abbiano almeno due : uno per la moglie e uno per l'amante». La battuta è buona, e al di là dello scherzo ha un fondo di verità: è verissimo che la povertà è assai relativa, come il fatto che in Italia con 6-700 euro al mese fai sicuramente la fame a Roma come a Milano e nelle grandi città, ma puoi cavartela in qualche modo nella grande provincia, tanto più se hai ereditato una casa e no devi pagare l'affitto. Come è vero che questi numeri enormi sulla povertà censiti dagli istituti di rilevazione cozzano con quelle fila interminabili che si sono viste ieri davanti ai negozi che concedevano qualche sconto e con le centinaia di migliaia di transazioni on line effettuate ieri per il Black Friday per arraffare a sconto beni forse necessari e fondamentali, molte volte però inutili e che mai si sarebbero comprati a prezzo pieno. Code che sembravano davvero in contrasto con l'annuncio fatto proprio ieri dal vicepremier Luigi Di Maio sulla imminente stampa di 6 milioni di tessere con cui ottenere il reddito di cittadinanza. Aiutare chi è davvero povero è certamente un obbligo dello Stato, che in Italia ne avrebbe uno ancora più sostanziale: aiutare a trovare un lavoro i cittadini di una Repubblica che sarebbe fondata sul lavoro come dice la Costituzione. Dare quel reddito di cittadinanza però è un percorso pieno di trappole difficili da evitare. C'è quella della cifra assoluta, che come diceva il nostro amico tassista non dice tutto sulle condizioni di vita: a Roma è significativa, nel paesino di Abruzzo assai meno. C'è la trappola del lavoro nero e di quello criminale: se ti basi solo sul reddito dichiarato, finirà che regalerai ai Casamonica un aiutino per ricostruirsi le ville appena abbattute. C'è l'incognita della durata del sussidio, perché il giochino dei tre lavori consecutivi a cui non puoi dire no potrebbe durare all'infinito ed è in sè stesso grottesco. Perché se pensi che la platea dei bisognosi sia di 6 milioni di italiani e vari quella formula, significa che sei pure convinto che a loro in un tempo non infinito possano arrivare ben 18 milioni di offerte di lavoro: dodici milioni possono essere scartate, le altre no. Ma in quanti degli ultimi anni il mercato del lavoro in Italia ha offerto 18 milioni di posti, visto che quando le cose sono andate magnificamente se ne è creato un milione in 4 o 5 anni? Non sono obiezioni banali queste, e bisognerebbe dare risposta puntuale a ognuna di questa osservazioni prima di procedere. Anche a un militante M5s dovrebbero girare le scatole il giorno che scoprisse un reddito di cittadinanza elargito al Casamonica di turno. Forse quelle tessere sarebbe bene stamparne un po' alla volta, e diluirle un po' nel tempo per affidarle in mani certe.

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