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Referendum Catalogna, arriva la Guardia Civil: scontri con la polizia davanti ai seggi

Silvia Sfregola
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Tensione, scontri e violenze aprono l'attesa giornata del referendum sull'indipendenza della Catalogna. Il bilancio delle azioni di polizia e Guardia nazionale, che sono intervenute per impedire le operazioni di voto, è di oltre 400 persone ferite o contuse (secondo quanto riportato dal governo catalano), alcune delle quali in modo serio. Ci sono anche 11 agenti feriti tra poliziotti e guardie nazionali. Un uomo è stato fermato a Barcellona per resistenza a pubblico ufficiale. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di persone di ogni età trascinate via, di donne anziane sanguinanti per i colpi ricevuti e dei proiettili di gomma sparati dagli agenti sulla folla.  Dalle cinque di mattina, migliaia di persone si sono messe in fila in tutta la Catalogna di fronte alle porte dei seggi. L'obiettivo era quello di impedire alle polizia regionale, i Mossos d'Esquadra, di adempiere all'ordine di sigillare i seggi e sequestrare le urne e le schede elettorali. In ritardo rispetto al previsto, gli agenti si sono presentati ai seggi, ma nella maggior parte dei casi si sono limitati a prendere atto della situazione e ritirarsi, spesso tra gli applausi della folla. Alle 8 di mattina, un'ora prima dell'apertura ufficiale dei seggi, il portavoce del governo della Generalitat, Jordi Turull, ha annunciato a sorpresa un cambio del sistema di voto. Il nuovo metodo dà la possibilità ai cittadini di votare in tutti i seggi aperti. Il portavoce ha spiegato che, per garantire che nessuno potesse votare più volte in diversi seggi, è stato implementato il sistema di controllo informatico. Più tardi, però, le connessioni internet sono cadute in molti collegi elettorali. Attorno alle 9, all'avvio delle operazioni di voto, la polizia nazionale e la guardia civile sono intervenute in vari seggi in tutta la ragione. In molti casi gli agenti hanno usato la forza per sgomberare chi cercava di resistere, utilizzando anche manganelli e proiettili di gomma e causando decine di feriti. Secondo il ministero della Salute, alle 11.30 erano 38 i feriti, tre dei quali in condizioni serie. Alle 14.30 la Generalitat ha aggiornato il bilancio: 337 feriti o contusi. Nel seggio di Sant Julià de Ramis, dove il presidente catalano Carles Puigdemont avrebbe dovuto votare, gli agenti hanno sfondato le porte e sequestrato le schede e le urne. Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, è riuscito comunque a votare alle 10 del mattino a Cornellà de Terri. Hanno votato anche il vicepresidente del governo, Oriol Junqueras, e il presidente del Parlamento, Carme Forcadell. "C'è stata una violenza irresponsabile e non giustificata. I catalani volevano votare pacificamente e democraticamente", ha dichiarato Puigdemont, che ha parlato di "una vergogna che accompagnerà per sempre l'immagine dello Stato spagnolo". La Generalitat ha assicurato che il 73% delle stazioni elettorali sono aperte, anche se in poche località è stato possibile votare normalmente a causa del blocco alla connessione. Durante gli scontri anche 9 poliziotti e 2 guardie civili sono rimasti feriti in modo lieve. Il ministro dell'Interno, Juan Ignacio Zoido, ha spiegato che gli agenti hanno "neutralizzato" circa 70 stazioni elettorali e ha assicurato che le loro azioni sono state "proporzionate". L'account Twitter del ministero ha diffuso un video che mostra agenti della guardia civile aggrediti a sassate da una ventina di persone a Tarragona. Durante tutta la giornata non si è mai fermato lo scambio reciproco di accuse tra il governo nazionale di Madrid e il governo catalano. "Chiedo che il governo della Generalitat della catalogna smetta di comportarsi in modo irresponsabile", ha dichiarato in conferenza stampa Soraya Saenz de Santamaria, vicepresidente del governo spagnolo. "Continuare questa farsa non ha senso e non porterà a nessun risultato. Loro possono mettere fine a questa situazione", ha aggiunto. Anche il prefetto della catalogna, Enric Millo, "fermare" la "farsa" e ha detto che nei prossimi giorni "più di uno dei responsabili che hanno provocato questa situazione dovrebbe considerare le dimissioni". Dall'altra parte il portavoce della Generalitat, Jordi Turull, ha detto di considerare "il presidente del governo Mariano Rajoy e il ministro degli Interni Juan Ignacio Zoldo" responsabili "di quello che sta succedendo in catalogna" e ha chiesto le dimissioni del prefetto. La procura ha intanto annunciato un'inchiesta sull'operato dei Mossos d'Esquadra, che non sono intervenuti in un primo momento. Negli ultimi giorni le autorità nazionali spagnole non hanno lasciato nulla di intentato per fermare il referendum sull'indipendenza che ha chiamato alle urne oltre 5,3 milioni di elettori. Il referendum di oggi segna il culmine di un intenso mese di settembre, cominciato con il via libera del Parlamento catalano alla legge che spianava la strada alla consultazione e proseguito con la sospensione del referendum da parte della Corte costituzionale e con arresti e proteste. Le forze dell'ordine nell'ultima settimana hanno sequestrato urne e schede elettorali, oltre a sigillare gran parte delle scuole in cui si dovevano installare i seggi. Le autorità catalane avevano comunque assicurato che il voto si sarebbe svolto in ogni caso. Sulle schede gli elettori hanno trovato la domanda: "Vuoi che la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di Repubblica?". In Catalogna la maggioranza di governo a favore dell'indipendenza ha ottenuto alle ultime elezioni nel 2015 il 47,8%. Dal momento che tutte le opposizioni si sono schierate contro il voto, l'indipendentismo dovrebbe fermarsi quindi poco al di sotto del 50% del consenso. La situazione è però complicata dal fatto che l'elettorato dei partiti tradizionali si è diviso, ed esiste una porzione del 10% di indecisi. Inoltre la formazione Catalunya en Comù della sindaca di Barcellona Ada Colau (vicina a Podemos) non ha mai dato indicazioni di voto. Socialisti, Popolari e Ciudadanos si oppongono. Si stima che una quota superiore al 75% dei catalani chieda oggi che la consultazione avvenga, ma molti preferirebbero fosse concordata con il governo spagnolo. Secondo i sondaggi, il pugno duro di Madrid avrebbe fatto alzare la percentuale di chi dice che si dovrebbe comunque poter votare. Dal momento che le formazioni unioniste diserteranno i seggi, la vittoria del "Sì" è data per scontata. Dando per certa la vittoria del "Sì", sarà importante capire quanti elettori saranno in grado di votare, con la polizia schierata per fermarli e pronta a dare multe fino a 300mila euro. Se gli indipendentisti dichiareranno comunque valido il referendum, è previsto che si attivi la 'ley de desconexion': una dichiarazione unilaterale di indipendenza che avvia il processo di separazione. "Il Sì implicherà ciò che prevede il referendum: entro 48 dalla pubblicazione del risultato, il parlamento regionale firmerà la dichiarazione ed entrerà in vigore la legge transitoria", ha dichiarato il ministro degli Esteri della Generalitat Raul Romeva. Un parziale passo indietro è arrivato dal presidente della catalogna, Carles Puigdemont. Intervistato dal quotidiano Ara, alla domanda se sia a favore di una dichiarazione unilaterale, il leader catalano ha detto che "tutti capiscono che le grandi decisioni devono essere concordate" e che si dovrebbe perseguire una "agenda politica per attuare i risultati" che sia "ragionevole, realistica ed efficace" per fare sì che quanto ottenuto con il referendum del 1 ottobre "non si perda" e "non si rovini" nei giorni successivi. L'ipotesi più probabile è quindi che si apra un difficile negoziato tra Madrid e Barcellona. Ipotesi sostenuta anche dal leader socialista Pedro Sanchez, secondo cui "l'unica vittoria in catalogna è l'accordo" e non "la politica dei blocchi". Nel caso, molto improbabile, di una vittoria del 'No', il governo catalano ha già annunciato che di dimetterebbe per andare a nuove elezioni.

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