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La profezia di Enrico Ruggeri: "Attenti all'Anticristo"

Nel suo nuovo album coi Decibel l'atto d'accusa contro i potenti del mondo

Carlo Antini
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Tra radio, televisione e libri Enrico Ruggeri ha trovato anche il tempo per tornare a Sanremo e presentare uno dei brani più interessanti ascoltati quest'anno al Festival. Ancora una volta con i suoi Decibel perché per lui la musica è innanzitutto resistenza. Enrico Ruggeri, lei è appena tornato da Sanremo. Come le è sembrato il Festival di Baglioni? «Rispettoso nei confronti della musica. Il fatto di aver tolto le eliminazioni ha permesso di alzare il livello della qualità». Ogni sera quattro-cinque canzoni tratte dal repertorio di Baglioni. Non le è sembrato un Festival troppo «baglionizzato»? «Non lo trovo negativo. Il repertorio di Baglioni non è certo poca cosa. E poi finalmente il Festival della canzone italiana l'ha organizzato un musicista». Da «Contessa» a «Lettera dal duca». Come ha visto cambiare Sanremo nel corso degli anni? «Oggi il Festival ha certamente più risonanza rispetto al passato. Ma è anche più difficile presentare qualcosa di davvero diverso perché ormai con Internet tutti sanno tutto di tutti». Ancora una volta all'Ariston si è presentato con i Decibel. Il vostro nuovo album si intitola “L'Anticristo”. Dobbiamo preoccuparci? «Sulla copertina ci siamo noi che recitiamo la parte di super manager. Sono quelli che stanno al di sopra degli Stati nazionali e che decidono le sorti del mondo». Sono loro l'Anticristo? «Esattamente. Sono quelli che hanno provocato l'abbassamento della qualità della musica che oggi è diventata cartavelina. Non incide sull'opinione della gente e non lascia segni duraturi sulle coscienze. È un meccanismo perverso che non è possibile fermare». E perché sarebbe stata decisa una cosa come questa? «A un certo punto quei signori si sono detti: ma perché ci dobbiamo far dire cosa fare da personaggi come John Lennon o Bob Geldof? E hanno fatto in modo che i musicisti contassero sempre meno nella società. È un discorso politico portato avanti in modo scientifico». Secondo lei oggi non è proprio possibile far contare di più la musica e i musicisti? «È una battaglia persa. Quella stagione è irripetibile. Al passato non si torna. Prima quando veniva pubblicato un album di Lou Reed lo si ascoltava per mesi. Oggi in un solo pomeriggio si possono ascoltare anche cento canzoni. È evidente che il potere della musica di incidere sul pubblico è diminuito. E Internet ha facilitato tutto questo. Il web ha appiattito il gusto rendendoci schiavi di algoritmi. Siamo tutti immersi nel grande fratello orwelliano». Se la situazione è questa perché lei continua a fare il musicista nonostante tutto? «Perché facciamo parte di una nicchia di resistenza. Ci divertiamo ancora e ci rivolgiamo all'elite del rock. Come noi ci sono Nick Cave, Elvis Costello e Tom Waits che non riempiono gli stadi ma che continuano a fare testimonianza. Insomma ci rivolgiamo a quelli che non ci cascano». Dal prossimo 13 aprile i Decibel partiranno con la nuova tournée. Cosa state preparando per il pubblico? «Nei nostri concerti dal vivo non utilizzeremo computer e ci sarà molta energia. Il pubblico giovane che ci viene a sentire si sorprende perché noi saliamo sul palco e suoniamo senza tante sovrapproduzioni. Come si faceva una volta. E per i più giovani è davvero molto strano». Nel suo passato anche l'esperienza di giudice a X Factor. Dopo quello che ci siamo detti cosa pensa dei talent show? «Ben vengano se non sono l'unico modo per scovare talenti. È importante che ci siano ancora veri talent scout che vanno a sentire le nuove band in giro nei locali. Il vizio di forma dei talent è che fanno vincere sempre quelli che cantano meglio. Insomma personaggi come Ruggeri, Fossati e Battiato forse oggi sarebbero stati eliminati. Anche lì i ragazzi sono vittime dell'omologazione». Cosa consiglierebbe ai giovani che sognano di diventare musicisti? «Di seguire l'insegnamento di David Byrne che diceva che la musica già contiene in sé la sua ricompensa. Bisogna suonare per il piacere di farlo. Se lo si fa rincorrendo beni materiali è come giocare al Superenalotto». Nella sua musica ha sempre fatto convivere un'anima punk-rock e un'altra da chansonnier. Com'è riuscito a conciliare questi due mondi apparentemente così lontani? «Perché sono entrambi aspetti della mia musicalità. Mi piacciono sia i Damned che Aznavour. L'importante è stare lontani dal pop e dalle canzoni nate per il disperato tentativo di piacere agli altri». Lei ha scritto anche tante canzoni per altri cantanti. Quali sono le interpretazioni che considera più riuscite? «Certamente quella di Loredana Bertè alla quale devo tanto. Mi ha dato visibilità in un momento della carriera in cui ancora non ne avevo. E poi Andrea Mirò e Fiorella Mannoia che sono tra le pochissime interpreti che quando cantano pensano davvero a quello che dicono». La sentiamo anche in radio. Si sente a suo agio nella veste di conduttore? «Sì perché in radio c'è la possibilità di conciliare ascolti e qualità. In televisione è un'impresa praticamente impossibile da realizzare». Ce l'ha ancora un sogno nel cassetto, un progetto non ancora realizzato? «Mi piacerebbe comporre la colonna sonora per un film. Mi è capitato altre volte ma in tutte le occasioni purtroppo le pellicole alla fine non sono uscite».

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