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I dati dell'Inps: in Italia i dipendenti pubblici e privati si ammalano di più il lunedì

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Antonio Sbraga
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I dipendenti pubblici del Lazio sono i più cagionevoli d'Italia. E anche quelli del settore privato non si sentono tanto bene: più malaticci di loro se ne trovano solo in Lombardia. Questo lo stato di salute dei lavoratori dipendenti visto dall'Osservatorio Inps, che indica il Lazio al primo posto del settore pubblico con 860.226 certificati di malattia inviati nel 2015, pari al 13,7% (seguita dalla Sicilia con il 12,3%, la Lombardia con l'11,5% e la Campania con il 10,9%). Il Lazio è anche al secondo posto per il settore privato con un milione e 353 mila 775 certificati medici, pari all'11,2%, dietro solo alla Lombardia (pari al 21,4%). Ma in una sola cosa i lavoratori di tutta Italia, sia pubblici che privati, sembrano uniti: dalla sindrome del lunedì, che vede colpire con i suoi malanni circa un terzo dei malati. «La distribuzione del numero degli eventi malattia per giorno di inizio della settimana nel 2015 è simile per entrambi i comparti, con frequenza massima il lunedì, 2,7 milioni di eventi per il settore privato e 1,4 milioni per la pubblica amministrazione, pari rispettivamente al 30,5% e al 27,6% del totale», annota l'Osservatorio. Anche se «nel complesso, comparto pubblico e privato, la distribuzione dei certificati di malattia a livello territoriale evidenzia che, nel 2015, il Nord-ovest è l'area geografica che con il 28,3% presenta il maggior numero di certificati medici», spiega l'Inps. Però il Lazio conserva il primato italiano nonostante risulti la sola regione in controtendenza, con un calo di certificati medici nel settore pubblico a fronte di un aumento della media nazionale. «Nella pubblica amministrazione, al 4,3% di aumento del numero dei certificati medici trasmessi nell'anno 2015 rispetto al 2014, contribuiscono in modo particolare la Calabria (+11,8%) e le Marche (+10,6%) mentre nel Lazio si registra un decremento pari all'1,2%», quantifica l'Inps analizzando i 6 milioni e 300mila referti ricevuti dagli studi medici dell'intera penisola. Nel settore privato, invece, sono stati trasmessi 12,1 milioni di referti in tutta Italia. «Il numero dei certificati medici nel 2015 presenta un'elevata stagionalità: è massimo nel primo trimestre dell'anno (circa il 35% nel privato e il 38% nel pubblico) e minimo nel terzo trimestre (circa il 18% nel privato il 14% nel pubblico)», spiega l'Osservatorio. Che aggiunge: «Confrontando la distribuzione mensile del numero dei certificati di malattia 2015 con quella dell'anno precedente osserviamo, sia nel settore privato che nel settore pubblico, un incremento dei certificati in quasi tutti i mesi dell'anno più accentuato nei primi 4 mesi. Fanno eccezione i mesi di maggio, giugno, settembre e soprattutto dicembre in cui si registra una forte diminuzione». Anche nel settore privato il Lazio finisce sul podio dei lavoratori meno in salute nonostante abbia fatto registrare un incremento di certificati medici inferiore di tre punti percentuali alla media nazionale, cresciuta del 4,9%, mentre quella regionale si è fermata al +1,9%. Però è bastato l'aumento di 25 mila referti (passati dal milione e 328 mila del 2014 al milione e 353 mila del 2015) a confermare la seconda posizione dietro l'inarrivabile Lombardia, con quasi il doppio di certificati (2 milioni e 574 mila). L'Inps, «passando ad analizzare il numero complessivo di eventi malattia per l'anno 2015, pari rispettivamente a 8,9 milioni nel settore privato e 5,0 milioni nella pubblica amministrazione», osserva che, «con riferimento alla durata dell'evento, in entrambi i comparti la classe con maggior frequenza è quella da 2 a 3 giorni con il 32,1% per il settore privato e il 36,5% per la pubblica amministrazione. Nel comparto privato l'88,2% della distribuzione è concentrata nelle prime cinque classi di durata del- la malattia (fino a 15 giorni), contro il 92,9% del comparto pubblico». I certificati di malattia dei lavoratori dipendenti aumentano anche perché «il budget del 2015 e del 2016 per le visite di controllo da parte dei medici fiscali è stato ridotto all'osso», quasi di tre quarti. Questa la diagnosi refertata dall'Associazione nazionale medici fiscali (Anmefi). Per la quale è «ben chiaro che tale incremento e relativi costi vanno ad aggiungersi alla già consistente indennità di malattia, che per le casse pubbliche è di circa due miliardi l'anno». Per i controllori col camice bianco «probabilmente a molti sfugge come, a fronte dell'incremento delle certificazioni, il budget del 2015 e del 2016 per le visite di controllo da parte dei medici fiscali sia stato ridotto all'osso. I 50,6 milioni di euro destinati prima del 2013 sono stati infatti ridotti ad appena 13,8 milioni di euro, tanto da rendere irrisorio il numero dei controlli su tutto il territorio italiano; in pratica restano i controlli richiesti dai datori di lavoro (a loro carico). Dal 15-20% di controlli sui certificati pervenuti, un tempo particolarmente suggerito dalle varie Direzioni dell'Istituto, si è passati ad un 3-4%, vanificando quei benefici che il sistema della medicina di controllo avrebbe potuto apportare, evitando maggiori oneri a carico del bilancio dell'Ente, e che ricadono, in ultima analisi, su quello dello Stato». E «tantomeno è stato dato ascolto agli estenuanti appelli dell'Anmefi, che da più di tre anni denuncia il rischio che si corre abbattendo drasticamente i controlli a favore dell'incremento dello stato di malattia, che puntualmente si è verificato, con l'inaspettato 4,9%», aggiunge l'associazione, che «ha ripetutamente segnalato la mancanza di controlli nel settore pubblico, sollecitando l'operatività del "Polo Unico" della medicina fiscale attraverso i fondamentali decreti legislativi, ancora in fase di scrittura. È per questi evidenti squilibri che l'Anmefi torna a sollecitare la revisione del provvedimento dell'Inps, che ha determinato l'estrema riduzione dei controlli domiciliari demansionando la categoria preposta e peggiorando l'efficienza ed efficacia del servizio da essa svolto». 

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