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Uccisa a 12 anni e gettata nel pozzo Il "biondino" di Primavalle se la cavò

L'omicidio di "Annarella" Bracci

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Nella periferia romana il caso di Annamaria Bracci, da tutti chiamata «Annarella» è ricordato con orrore da chi ha vissuto in quell'epoca e da quelli a cui questa storia raccapricciante è stata raccontata. Ancora oggi, ai bambini viene consigliato di non dar retta agli sconosciuti «perché sennò fai la fine di Annarella, quer poro angelo». Annamaria Bracci aveva dodici anni nel 1950: era nata il 15 dicembre 1937, oggi avrebbe settantotto anni. Una vita di stenti per questa «Maria Goretti» cresciuta in via Lorenzo Litta, lotto 25, scala L, nel quartiere di Primavalle. Bruna, coi capelli corti, gli occhi profondi e tristi, abitava con una carovana di fratelli ed una madre separata dal marito che faceva fatica a racimolare qualche soldo. Annarella era più matura delle ragazzine della sua età: aiutava nei lavori domestici, veniva mandata a fare la spesa. Il suo unico sogno era quello di avere da mangiare tutti i giorni, anche un pezzo di pane, perché non c'era speranza di assaporare qualche dolce. Aveva l'innocenza dei ragazzini e l'ingenuità che si possiede quando si è vissuta una vita senza promesse. Ubbidiente, era sveglia e veloce, aveva dovuto imparare presto a cavarsela da sola, perché la madre non riusciva a gestire da sola i figli, la casa, i problemi economici. Nel tardo pomeriggio del 18 febbraio 1950 fu mandata dalla madre e comprare del carbone e a chiedere ad una vicina un goccio d'olio. La ragazzina si portò dietro una busta di tela, una bottiglietta d'acqua vuota e la sua modesta borsettina, unico vezzo di un'infanzia ferita. Uscì di casa e nessuno la vide più. Nessuno, inquirenti compresi, si occuparono della sua scomparsa per almeno sei giorni, fino a quando le proteste del quartiere si trasformarono in un coro indignato. E fu allora che polizia e carabinieri si mobilitarono cercando Annarella ovunque. Fu solo il 3 marzo che il suo corpo senza vita, senza gonna né mutandine, fu trovato all'interno di un pozzo profondo 13 metri, tra via Torrevecchia e l'attuale via Logoleto. Annarella aveva una profonda ferita da arma da taglio alla testa e portava i segni di una tentata violenza sessuale. Il nonno disse: «Ho sognato che era in un pozzo» e i sospetti si indirizzarono, ma solo per poco, verso di lui. Fu una testimonianza a squarciare il buio delle indagini. Qualcuno rivelò che quella sera Annarella era stata vista in strada, seduta su un muretto, mentre mangiava castagne con Lionello Egidi, amico di famiglia e presunto amante della mamma Marta Fiocchi. Sposato e padre di due figli, lavorava come giardiniere e talvolta aiutava la famiglia di Annarella.   IL BIONDINO DI PRIMAVALLE Lionello Egidi viene fermato e tenuto in galera sette giorni, massacrato di botte. Picchiato con tanta violenza che quando esce non viene riconosciuto dai suoi familiari. Al giudice confessa di aver ucciso la piccola salvo poi ritrattare. «Sono stato costretto a fare quella confessione perché sennò non smettevano di darmi pugni». Dopo di lui, il fermo di polizia giudiziaria verrà trasformato in forma e sostanza: dovrà durare 48 ore e prevedere la notifica ad un difensore. Il 18 gennaio 1952 Egidi viene assolto: a dimostrazione della sua verità esibisce occhi gonfi e labbra spaccate. Senonché ad una festa popolare sull'Appia Antica molesta una bambina. Questa volta il carcere se lo fa e per tre anni mezzo. Nel 1955 il secondo grado. In Appello non c'è dibattimento che tenga: Egidi viene condannato per l'omicidio di Annarella a ventisei anni ed otto mesi di reclusione.     COLPO DI SCENA Quando sembra che la Giustizia abbia fatto il suo corso e che Annarella finalmente possa riposare in pace, arriva la Cassazione, il terzo grado di giudizio che non entra nel merito dei fatti ma si limita a verificare che i processi precedenti si siano svolti senza «errori». È in quella sede che il legale del giardiniere dimostra come la condanna dell'Appello sia stata fortemente influenzata dalle molestie compiute sulla bambina incontrata alla Festa sull'Appia Antica. Ce la fa, Lionello Egidi, questa volta. Il 14 dicembre 1957 viene assolto definitivamente. Lui torna a Primavalle con l'aureola del martire: il quartiere è spaccato in due, tra innocentisti e colpevolisti. Di fatto riprende la sua vita come se niente fosse. Succede però che nel 1961 viene condannato a cinque anni di carcere per aver molestato un ragazzino. Giustizia è fatta, ma non per Annarella, il cui omicidio si chiuderà con un nulla di fatto.     VIVA NEL RICORDO DEI ROMANI Buttata in un pozzo, in aperta campagna. Poco distante dal luogo del delitto erano state trovate le semplici cose di Annamaria Bracci: la borsettina, il carbone comprato per cuocere la cena, la bottiglietta con l'olio chiesto in prestito. La bambina riposa al cimitero del Verano, nella cappella di Raniero Marsili. Una targa, collocata all'esterno della cappella in questione, ricorda a chi legge che tra quelle quattro mura c'è il corpo di una bambina vittima delle perversioni altrui. Ai tempi del delitto la famiglia non aveva soldi per il funerale al quale provvide il Comune di Roma. Le esequie furono cariche di emozione: alle stesse parteciparono gli amministratori della città. A tanti anni di distanza dagli accadimenti descritti, il ricordo di Annarella è ancora vivo. La festa dello Sport è stata intitolata a lei e nel quartiere di Primavalle è stato creato un parco pubblico con giochi per bambini a lei intitolato. Una piccola consolazione per i familiari che non hanno avuto giustizia. Annamaria Bracci, come ricordato all'inizio, ha avuto una vita simile a quella di Maria Goretti, vissuta nell'Agro Pontino e poi santificata. Entrambe figlie della povertà, entrambe sfinite a dodici anni dagli stenti e dalla fatica, hanno trovato la morte per mano di un «amico di famiglia» dal quale si aspettavano un piccolo aiuto, non l'aggressione brutale che le ha uccise.

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