SERIE A

Totti, Lazio e Keita Radu dice tutto

Gianluca Cherubini e Luigi Salomone

Ha festeggiato domenica scorsa contro il Genoa duecento presenze con la maglia della Lazio. Ormai Stefan Radu ha sangue biancoceleste che gli scorre nelle sue vene. Era arrivato a ventidue anni durante il mercato di gennaio del 2008, non si è più mosso dalla Capitale, Roma è diventata la sua casa tanto che ha firmato il rinnovo fino al 2020 quando potrebbe decidere di lasciare il calcio. Ma è una data lontana, meglio pensare al presente che si chiama Palermo, una trappolona dove i biancocelesti hanno tutto da perdere e soprattutto derby tra otto giorni sognando di tornare alla vittoria dopo tre anni di astinenza. In esclusiva su «Il Tempo» il difensore romeno confessa tutto senza peli sulla lingua. Radu, che cosa significa il derby per lei? «Tante emozioni, partite infinite. Il ricordo più bello è legato al 26 maggio, una gioia incredibile. Purtroppo da quel giorno non siamo più riusciti a battere la Roma, i tifosi spesso me lo ricordano. Devo ammettere però che abbiamo sempre dato il massimo, a volte è subentrata un po’ di sfortuna». Il derby più brutto? «Quello del primo anno di Pioli, passammo in vantaggio per 2 a 0. Nella ripresa poi, a causa di qualche mia disattenzione, la Roma riuscì a pareggiare con una doppietta di Totti. Diciamo che non fu una grande giornata per me». C’è rivalità con il capitano della Roma? «Quando lui si lamenta, gli arbitri fischiano sempre. A volte non tutti ti trattano allo stesso modo, per far vedere che hanno personalità allora ti ammoniscono». Giusto introdurre la tecnologia? «Sicuramente sarebbe una cosa positiva, in particolare per noi difensori. Spesso e volentieri gli attaccanti tendono a buttarsi». Passiamo a Simone Inzaghi. Vi aspettavate un avvio simile? «Mi aspettavo di partire bene, ma non così tanto, abbiamo già 25 punti. In ritiro però abbiamo lavorato moltissimo, per me è stata la miglior preparazione estiva da quando sono alla Lazio. Il mister è sembrato subito carico e motivato, ha chiesto impegno da parte di tutti e azzerato completamente le gerarchie. Siamo ripartiti da zero, non esistevano più titolari o panchinari». È rimasto male delle dimissioni di Bielsa? «Sinceramente me le aspettavo, la situazione si era capita sin da subito. Ma non mi sono informato, non ho letto nulla, non mi interessava».  Nel mese di agosto invece scoppia il caso Keita. Lo spogliatoio come ha reagito? «Eravamo tutti molto delusi dal suo comportamento, è inutile nasconderlo. Lui però s’è rimesso in carreggiata, è tornato a disposizione dell’allenatore e noi lo abbiamo perdonato». Ora però deve rinnovare. «Personalmente gli consiglio di rimanere, non posso dire il contrario, è troppo importante per noi. La Lazio ha bisogno di lui, e lui forse ha bisogno della Lazio. C’è tempo per andare via secondo me, il discorso però credo sia esclusivamente economico. Sarà lui a decidere».  Il Palermo rappresenta la classica trappola? «Non sarà una sfida semplice, lo sappiamo bene all’interno dello spogliatoio. Vincere sarebbe importante, rappresenterebbe il classico salto di qualità. Dobbiamo cercare di rimanere concentrati e conquistare tanti punti».  Questo campionato può ricordare quello della Champions? «È molto simile, la classifica per il momento dice questo. La nostra squadra è ben organizzata, a volte abbiamo faticato, altre volte invece non siamo riusciti a vincere partite sulla carta semplici. Con il Bologna per esempio ci mancano due punti. L’importante comunque è non perdere». Bastos, Wallace e De Vrij. La difesa è il reparto più forte? «Non lo so, la Lazio però per tradizione ha sempre avuto difensori di grande livello. Bastos e Wallace sono stati molto bravi ad ambientarsi e capire subito il calcio italiano». Il centrale più forte? «Biava era un fenomeno. Sudava poco, ma in campo non sbagliava nulla. Testa ed esperienza, posizione e qualità, un grandissimo giocatore».  Lei si sente un leader di questo gruppo?  «No, non credo. Lo scorso anno c’era Klose, lui era un leader. Ora siamo un gruppo, un mix vincente. Anche noi anziani possiamo imparare qualcosa dai più giovani. Non è mai tardi per migliorare». L’esordio con la Lazio a Firenze in Coppa Italia nel 2008. Otto anni dopo è ancora qui. «Non pensavo che sarei arrivato così lontano. Non ho cambiato tante squadre in carriera, ma sono contento di essere alla Lazio. Probabilmente chiuderò a Roma la mia carriera». E dopo che farà? «Non lo so, ma difficilmente continuerò nel calcio». C’è mai stata la possibilità di lasciare la Lazio? «Sì, un paio di volte è capitato. Non me la sono sentita però, non ho mai avuto il coraggio di lasciare questa piazza. Sono legato ai tifosi, all’ambiente, ho preferito la pressione di Roma ai soldi. Senza stimoli un giocatore non è niente». Il ritorno di Peruzzi vi ha aiutato? «Molto, è sempre bello confrontarsi con Angelo. Siamo tutti molto felici del suo arrivo, è fondamentale averlo con noi». Ma veramente il problema dello scorso anno è stata la fascia di capitano? «Pioli, quando andò via Mauri, decise di darla a Biglia. Per tutti noi fu la scelta migliore, nessuno si lamentò. Candreva come romano se l’aspettava, non ci sono dubbi. Ma magari se la davi a lui non sarebbe cambiato nulla, le stagioni storte esistono purtroppo».