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Il calcio riparte a porte chiuse per salvare la stagione

Carlo Antini
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Il calcio prova a sopravvivere, anche se a porte chiuse. Dopo i rinvii e le polemiche il mondo del pallone non può fare altro che prendere atto della situazione e, adeguandosi alle direttive del governo, andrà avanti senza spettatori. Tutto questo almeno fino al 3 aprile, poi si vedrà. In un momento in cui chiudono le scuole e il Paese deve affrontare inevitabili e inaspettati cambiamenti nel suo stile di vita, imporre - o auto imporsi nella speranza di tempi migliori - lo stop sarebbe stata una mazzata troppo grande.  Per approfondire leggi anche: Anche il calcio va in quarantena  Certo, c'è voluto tempo, troppo, per annodare i fili di un mondo ormai lacerato da infinite beghe di palazzo ma, alla fine, davanti all'ineluttabilità nessuno ha potuto presentare obiezioni degne di questo nome. D'altronde il dpcm parla chiaro: «Sono sospesi altresì gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato; resta comunque consentito, nei comuni diversi da quelli di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020 (la cosiddetta zona rossa, ndr), e successive modificazioni, lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni, nonché delle sedute di allenamento degli atleti agonisti, all'interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all'aperto senza la presenza di pubblico». In estrema sintesi, se vuole continuare a rotolare il pallone dovrà farlo davanti a spalti vuoti. Nessuno festeggia perché, come spiegato dal presidente Figc Gabriele Gravina, «le porte chiuse mortificano valori come la condivisione e la gioia dell'evento sportivo». Il calcio però, aggiunge il numero uno di Via Allegri, «non può più fermarsi». «Le porte chiuse potrebbero essere l'unico strumento per portare a termine il campionato», ammette l'ad dell'Inter, Beppe Marotta, interpretando il pensiero di tutto il consiglio di Lega riunito al Coni. E che stoppare tutto sarebbe stato un segnale nefasto per un paese spaventato è chiaro da tempo pure al ministro Vincenzo Spadafora. «Bloccare tutte le attività sportive non è necessario ai fini della prevenzione». Lo sport, insomma, deve continuare «con le dovute cautele». In attesa di tempi migliori e nella speranza, forse vana, che dall'emergenza possa nascere un rinnovato senso di unità. A partire da quel calcio che, conscio del suo peso sociale all'interno del Paese, esce da questa vicenda con le ossa rotte, e non solo nella sua declinazione pratica.

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