D’Inzeo, l’uomo che sussurrava ai cavalli

Un sondaggio tra i giornalisti del settore equestre l’aveva eletto il miglior cavaliere della storia, la perfezione in sella. Raimondo D’Inzeo, scomparso ieri all’età di 88 anni (era nato il 2 febbraio 1925, casualmente a Poggio Mirteto, in Sabina dove il padre Costante era in servizio, ma era romano a tutti gli effetti) era un’icona dello sport italiano e mondiale, portabandiera dell’Italia ai Giochi Olimpici di Città del Messico 1968. Il presidente del Comitato Olimpico Nazionale Giovanni Malagò ha disposto un minuto di silenzio oggi e domani su tutti campi di gara nazionali. Con il fratello maggiore Piero aveva ininterrottamente partecipato a otto edizioni olimpiche, da Londra 1948 a Montreal 1976, conquistando una medaglia d’oro, due d’argento e tre di bronzo tra gare individuali e a squadre. Indimenticabile la finale di Roma 1960 quando a Piazza di Siena, in sella al baio Posillipo, lottò contro Piero che montava il grigio The Rock. Vinse Raimondo, il fratello fu secondo; poi, insieme a Salvatore Oppes, i due D’Inzeo ottennero il bronzo nella finale a squadre, allo Stadio Olimpico. Allievo del padre, maresciallo dei carabinieri ed uno degli istruttori più abili, iniziò a montare ragazzino alla Società Ippica Romana (la SIR, alle spalle del Ministero degli Esteri) andandoci a piedi dopo la scuola, insieme a Piero, dalla abitazione di Via Ottaviano. Nel suo palmares figurano anche due ori, un argento e due bronzi vinti nei Mondiali di Acquisgrana 1955 e 1956, Venezia 1960 e Buenos Aires 1966. Storica l’affermazione iridata al Lido di Venezia in sella alla roana Gowran Girl, «un’irlandese matta» come ricordava in una delle sue ultime apparizioni in pubblico, proprio alla SIR in occasione della festa per i novant’anni di Piero. Generale di divisione dei Carabinieri (ha comandato pure il celebre Carosello), nemico degli speroni («il cavallo si sollecita stringendo le ginocchia») era molto legato ai suoi partner a quattro gambe: «Con i cavalli la dolcezza è la cosa più importante - ricordava sempre Raimondo - insieme alla pazienza. Nel mio cuore c’è posto per tutti cavalli della mia vita, non soltanto i vincitori. Se un cavallo non si sente bene non ce lo può dire, lo dobbiamo capire noi attraverso la creazione di un feeling».